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Fiore fra fiori

Quanti di voi ricordano quella canzone – direi proprio un tormentone ante litteram! – dal titolo “Ci vuole un Fiore”, che completava ogni strofa con le parole “Per fare tutto ci vuole un fiooooooreee”? (*). L’idea straordinariamente ecologica e ambientalista era quella di portare alla consapevolezza degli Italiani di allora di quanto fondamentale fosse prendersi cura dell’ambiente, a partire dai fiori, poiché essi sono alla base del nostro mondo come noi lo viviamo ed usiamo.

 

A partire dai fiori… Può allora sembrare un caso che la storia della mia Palermo parta proprio da un fiore? E che anche i fiori possano parlare di lei?

Zyz, ovvero il fiore

Immaginate la scena come se fosse un film: un gruppo di Fenici, esperti esploratori e commercianti, naviga da giorni in cerca di luoghi in cui stabilire punti di approdo per i loro scambi. Mi piace pensare che la Scoperta possa essere stata fatta in un’alba fumosa ed intensa. Percorrendo le coste siciliane con alle spalle Castellammare, d’improvviso ai loro occhi attenti e pieni di conoscenze si apre la stessa visuale che secoli dopo avrebbe incantato il tedesco W. Goethe: un golfo perfetto, una fertile conca, protetto da un promontorio digradante sul mare e attraversato da due fiumi che – meraviglie della natura – le danno una forma particolare, la forma di un Fiore. E Zyz (fiore in fenicio, appunto) nacque così, tramutando in nome la forma. Prima del più prosaico “Panormos” (tutto porto) dei Greci, quindi, Palermo ebbe nome proprio da ciò da cui, secondo Rodari, tutto nasce, tutto deriva. Poteva dunque Palermo – nel tempo – non diventare splendida Capitale di cultura e arte?

 

Ma il legame di Palermo con i Fiori non si limita certo a questa etimologia: seguitemi e immergetevi con me nel profumo!

Bellezza tropicale

La mia pomelia in fiore! ©Ljus av Balarm
La mia pomelia in fiore! ©Ljus av Balarm

Sin da bambina, sapevo che l’estate era in sboccio quando, guardando dentro i giardini e su ai balconi della città, i miei occhi si riempivano della bellezza multiforme e multicolore di lei, della Pomelia. Mia nonna mi raccontava che questo fiore era speciale, perché cresceva solo a Palermo e non esisteva Palermitano degno di tale attribuzione che non ne coltivasse almeno un esemplare. Per questo amava produrne le talee e poi regalarne a tutti coloro che – a rischio secondo lei di perdita dalla cittadinanza! – non ne possedessero.

Forse il nome Pomelia non è familiare a molti, poiché si tratta dell’attribuzione palermitana al fiore, che no, non esiste solo a Palermo, come mia nonna amava romanticamente pensare, ma che con il nome tecnico di Plumeria o Frangipani ha origini tropicali, dove è persino una pianta sacra! A Palermo arrivò nel XVIII secolo per mano inglese, e divenne, appunto, Pomelia, instaurando da subito un legame tanto forte con la città da diventarne addirittura uno dei simboli (ben preferibile al sempiterno e stereotipato fico d’India).

 

Per vederne di begli esemplari, vi basterebbe passeggiare per le vie cittadine e tener d’occhio tutti i balconi: quando tra giugno e luglio avviene una trasformazione che ha del magico, poiché quello che per tutto l’inverno è stato solo un insieme di rami biforcuti e spogli esplode in un bouquet di grandi foglie verdi e fiori bianchi, rosa, rossi e tutte le sfumature intermedie. Se, però, volete appieno comprendere perché la Pomelia sia così speciale, dovrete recarvi all’Orto Botanico di Palermo, nell’angolo in cui sono piantate differenti specie di Pomelie: vi sembrerà di colpo di essere entrati nell’Eden e non crederete che possa esistere altro luogo in cui voler trascorrere la vostra estate. E capirete perché la pomelia, bella poiché semplice, sia simbolo di pace, amicizia e prosperità.

Bellezza in viola

Tripudio di Jacaranda Per il Politeama ©Ljus av Balarm
Tripudio di Jacaranda Per il Politeama ©Ljus av Balarm

È la mia storia, adesso, quella del legame di questa Palermitana con un albero particolare, che assume il significato di “l’inverno sta finendo davvero, dai, è veramente primavera”. Si chiama Jacaranda, ha fiori di color blu-viola e rami spesso sottili e in espansione quasi verticale, come in un anelito verso il cielo e nella congiunzione con l’azzurro puro e alto delle belle stagioni panormite. Anche questo fiore ha origini “aliene”, provenendo dall’Africa e dal Sud America.

Per vederlo a filari, dovete passeggiare – a cavallo fra primavera estate ed autunno – a Piazza Castelnuovo o a Mondello o in via Isonzo o nei pressi di piazza Indipendenza, oppure potete divertirvi – come me – a individuarne esemplari solitari in giro per la città, spesso dentro giardini privati. Vi assicuro che ne trovereste in luoghi impensati e vi confesso che una mia pazza idea è crearne una mappa delle presenze! Anzi, se vi va segnalatemi esemplari a voi noti.

Un esemplare speciale sta all’interno del recentemente rinnovato palazzo Butera: la sua chioma indaco si scorge attraverso le Mura delle Cattive. Potrete anche ammirare una sua antica radice attraverso un pavimento in plexiglass, in un’illuminata opera di esposizione protetta da parte dei restauratori del Palazzo.

 

Quest’autunno, su consiglio di un amico, ho raccolto in via Isonzo tantissimi semi di Jacaranda, che stanno dentro dei baccelli simili ad UFO… anzi, ora che ci penso, simili all’astronave di Goldrake prima che si trasformi in Robot. Chissà se, in fondo, una pianta così bella non sia stata proprio un regalo dalle stelle. Io proverò a piantarne i semi, in primavera, nel vaso accanto alla mia Pomelia (sì, ne ho una: che palermitana sarei, altrimenti?) e spero che venga fuori qualcosa: amerei l’accostamento tra il rosa della mia Pomelia e il blu-viola della mia personale Jacaranda annunciante la bella stagione!

Bellezza candida

Gelsomino, stella dal cuore d'oro ©Ljus av Balarm
Gelsomino, stella dal cuore d'oro ©Ljus av Balarm

Non potrei finire di scrivere del rapporto fra Palermo e i fiori senza dedicare parole alle bellezze candide: gelsomino e zagara; qualcuno potrebbe mettere in dubbio la mia palermitanità! Assieme al pitosforo, crescono ovunque a Palermo e costituiscono il trio profumato dell’estate. Il gelsomino portatore di atmosfere persiane, la zagara ambasciatrice di effluvi arabi, il pitosforo dagli echi neozelandesi: un cocktail di ebbrezze per occhi, naso e spirito, che fluisce per le strade palermitane soprattutto quando il pomeriggio si fa sera, tra primavera ed autunno, nella dolcezza vespertina.

 

Accomunati dal colore, gelsomino e zagara condividono anche la straordinaria consistenza della fioritura, che sembra permanere intatta da un giorno all’altro. Un rituale che nella mia famiglia – e in chissà quante altre in città – si tramanda tra generazioni è cogliere dei fiori di gelsomino accarezzati dall’umido di prima sera e deporli in piattini di ceramica da tenere sul comodino vicino il letto, poiché si sa che la sua essenza e il suo profumo non suscitano soltanto uno stato di benessere spirituale, ma anche… beh, di predisposizione ad una sana sessualità!

 

Per celebrare il proprio amore per la Zagara in fiore, invece, Palermo organizza due volte all’anno (in autunno e in primavera) un’esposizione-mercato nella cornice dello splendido quanto imperdibile Orto Botanico, in cui i visitatori rischiano di perdere il senso del tempo vagando fra centinaia di esemplari di zagare, ma anche di pomelie, di rose, gelsomini, orchidee, piante grasse ed altre meraviglie botaniche. Il tutto passeggiando tra i viali inimitabili di un Orto universitario che esiste da ben due secoli e che rimane fedele all’idea di una natura incontaminata e poco umanizzata. Il mio consiglio è di non perdervi la prossima edizione della mostra, quella primaverile, per respirare a pieni polmoni l’essenza di quanto vi ho appena raccontato. Credetemi, non ve ne pentirete.

 

(*) per inciso, pochi sanno che il testo di questa canzone – cantata nel 1974 da Sergio Endrigo – fu scritto nientemeno che dal favoloso Gianni Rodari! Altro che “canzoncina”.