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Morire oltre il coronavirus

Morire ai tempi del coronavirus ma non di coronavirus. Può accadere? Sì, perché nessun DPCM può prescrivere la moratoria di ogni patologia o evento fatale che non discende dal covid-19. Morire ai tempi del coronavirus ma non di coronavirus. È lecito? Nessuno può impedirtelo, ma può essere vissuto alla stregua di un crimine. E può diventare un incubo. Questa è la cronaca di una verità inconfutabile: che la morte intreccia la vita anche a prescindere dal coronavirus. E, in questo intreccio, ciò che – meritoriamente – sta curando l’Italia ha però anche una faccia oscura, il cui nome è disumanizzazione. Anche se non è coronavirus.

 

Vivere ai tempi del coronavirus

Flashmob incoraggianti dai balconi. Generose raccolte di fondi per sostenere ospedali. Cestini della solidarietà alimentare per chi si ritrova nella morsa dell’improvvisa povertà. Ammirazione e preoccupazione per medici, infermieri, forze dell’ordine e chiunque si trovi in prima linea. Compassione e sgomento per le immagini di decine di bare portate via dall’esercito. E l’anelito umano di pietà e preghiera per ogni vittima da covid-19. È questo il quadro sociopsicologico che guardiamo, ogni ora di ogni giorno. È l’Italia che lotta e resiste, di cui siamo fieri. Per la prima volta, nessuno ripete il ritornello: all’estero è meglio. Ma è come quando cammini su una strada che ti riempie gli occhi di emozione e commozione, però ad un tratto svolti l’angolo. Improvvisamente ciò che vedi non è confortante né fiero. Perché stai entrando nella dimensione in cui la precauzione diventa sospetto e la cura disumanizzazione. Anche se non è coronavirus.

 

Non è coronavirus: fiori per unire oltre la distanza

Fiori come simbolo del #distantimauniti ph © Salvatore Grotta

È un mostro anche se non è coronavirus

Si parte da un inizio, sempre. In questa storia l’inizio è quando qualcuno che ami mostra dei sintomi. In tv ti hanno fatto il lavaggio del cervello e, senza che te ne sia accorto, sei diventato diffidente/ansioso. Guardi il tuo caro, guardi gli altri familiari e negli occhi di ognuno la stessa muta domanda: e se fosse coronavirus? Se fosse il Mostro? È entrato a casa nostra? Ma come? Quando? Facendo la spesa anche se ho usato ogni precauzione? No, dai non ci posso credere: magari me lo sono beccato io andando a donare il sangue? Da quanti giorni siamo a casa per evitare pericolose esposizioni? Più o meno di 14? No, no, non è coronavirus. O sì? E già tu stesso stai dimenticando che di mostri ce ne sono altri e che non si sono addormentati per fare un favore agli Umani.

 

Il primo passo dentro la disumanizzazione

Intanto il tuo caro continua a star male. Hai spulciato internet e hai deciso che no, non è coronavirus. In altri tempi, non hai esitato e hai posto la domanda: vuoi che chiami l’ambulanza? Oggi, però, hai nelle orecchie i racconti di chi ha detto: se vanno in ospedale non puoi stargli al fianco, è una situazione incasinata globalmente, non ti fanno entrare. Il cuore ti si stringe ed esiti: è davvero necessario andare? Vediamo se ti senti meglio? Ma non sta a te decidere: è il destino, no? Perché arriva subito l’evento decisivo, quello incontrovertibile e l’ambulanza non è una scelta, è la sopravvivenza. Eccolo, il primo passo dentro la disumanizzazione. Chiami il 112 è la voce allenata alla cortese neutralità risponde che bisogna attendere un bel po’. “In questo periodo le ambulanze sono tutte impegnate e poi occorre procurarsi i DPI e solo allora potranno venire”. Solo allora.

 

La situazione è questa

I minuti scorrono, il tuo caro giace incosciente. Ormai sospetti con sgomento cosa stia accadendo. Ma devi attendere paziente perché la situazione è questa. A Palermo… allora che inferno è a Bergamo e Brescia? 45 minuti, l’ambulanza arriva. Apri la porta a due alieni in tuta bianca. Al posto del buongiorno ti intimano bruscamente di allontanarti, anche se sei già a 2 metri. Perché il sospetto è reciproco e – evidentemente – legittima la maleducazione. Ti sembra che perdano tempo, cercando i segni del covid-19. Lo capisci, è prassi, ma porca miseria lo comprendi tu stessa che è in atto un ictus e ogni secondo è prezioso per la vita! Il sospetto, però, è prioritario, la tutela della collettività annulla il diritto alla cura tempestiva del singolo. Trascorrono 15 minuti, prima che l’ambulanza vada via col tuo caro. E ti chiedi se, da ora, dovrai trovare escamotage da prestigiatore per averne notizie.

 

Benvenuti làddove vi vogliamo disumani

Ormai ci sei dentro. È bastato un attimo per entrare nell’universo della disumanizzazione. L’hanno chiamato distanziamento sociale, a tutela della salute collettiva. Sei stata d’accordo fino all’attimo prima, l’hai considerato civile, morale, praticandolo con coscienza. Ma d’improvviso scopri il suo vero volto: disumanizzazione. Hai fatto un passo e sei là, dove ti è chiesto di accettare che stare accanto a chi ami mentre lotta strenuamente per la vita non è più un tuo dovere, figuriamoci un tuo diritto. E sei criminale a volerlo. Se sei costretta a comunicare a qualcuno che il tuo caro è stato ricoverato d’urgenza, la domanda arriva puntuale, allertata, sospettosa: ma… di coronavirus? Allora vorresti afferrarli per le spalle, scuoterli e dirgli: al diavolo te e il covid-19, non è coronavirus, ma ci sta lasciando, lo capisci?! Ma non puoi: devi stare a distanza di almeno un metro. E tu sei abituata a rispettare le norme.

 

Non è coronavirus: a disumana distanza

A disumana distanza ph © Patrizia Grotta

Se prima il coronavirus era solo un fantasma che aleggiava sul tuo mondo come intangibile minaccia, ora è un ostacolo, una trappola. È diventato un muro fra te e il tuo caro. Che sta morendo, ma non è coronavirus; solo che ha scelto il momento più sbagliato per farlo. E allora morire sembra quasi un oltraggio. Infine, dopo sei giorni di tormento e di minuti rubati, ti ritrovi seduta a firmare le carte per il riconoscimento. E alle tue spalle devi sorbirti le risate della dottoressa – quella che ti ha appena comunicato la morte di chi ami. Inevitabilmente, il tuo pensiero va agli slogan “i medici sono gli eroi di questa moderna guerra“. Lo sai, è vero, lo hai pensato con emozione ad ogni tg. Ma sai anche che non tutti sono uguali, perché l’umanità è varia, qualunque professione svolga. Esame di Realtà oltre la retorica buonista – si chiama.

 

Non è coronavirus, ma è un incubo di divieti

Al tuo dolore si aggiunge la pletora di divieti che formano l’incubo. Dovrai piangere il tuo caro nella camera mortuaria dell’ospedale, senza il conforto di chi vorrebbe abbracciarti. La morte di un parente o il lutto di un amico fraterno non ti dà diritto a spostarti da casa tua, ai tempi del coronavirus. Fratelli, nipoti, intimi amici, fidanzati, compagni, tutti chiamano angosciati carabinieri, polizia, chiunque possa fare chiarezza su qualcosa che ti sembra inconcepibile. La risposta è la stessa: non hai giustificazione, muoviti e se ti becchiamo hai multa, verbale e denuncia. Mentre nel cervello ti si è ormai fossilizzata la musichetta della mezz’ora di vana attesa in linea con la protezione civile, provi con la polizia municipale. La risposta è più specifica: sono autorizzati a muoversi solo i conviventi, che condividono lo stato di famiglia con Il defunto. Gli altri stiano dove sono, in nome della sicurezza collettiva.

 

 

A Palermo… figuriamoci a Bergamo e Brescia – pensi ancora, con crescente compassione verso i nostri fratelli lombardi. Ormai il distanziamento sociale cautelativo ha gettato la maschera: è nella lontananza psicologica che si sconfina, fuori dalla retorica del distanti ma uniti. Ma i divieti strazianti continuano. Non potrai fare il funerale al tuo caro, perché è un assembramento. Non potrai accompagnarlo al cimitero, perché lì può entrare solo una persona e allora fai un passo indietro perché qualcuno ha più diritto di te a farlo. E scopri che chi maggiormente può comprenderti ed usarti empatia è chi hai sempre visto come mercenari della morte. Già, perché le parole e i gesti di cura arrivano da uno sconosciuto, dall’impresario delle pompe funebri. Persino quella sana e rispettosa leggerezza che altri non hanno saputo trasmetterti, presi nella trappola del: ma… è coronavirus? Paradossale, no? Soprattutto perché, no, non è coronavirus. Ma è mortale.

 

“Distanza zero” con la memoria

La fine dell’incubo è il numero di bare in attesa al deposito del cimitero, che non è una leggenda metropolitana. E non è certo correlato al coronavirus. Il resto del tuo incubo, fuori dalla cronaca, sarà il tuo lutto. E lì no, lì il maledetto coronavirus non potrà entrare. E nessun distanziamento sociale potrà mettersi fra te e la Memoria.