A San Valentino dai un cioccolatino a ogni cretino.

Quando in questa frase si condensa il massimo romanticismo di tuo padre, il primo uomo della tua vita, forse è naturale convincersi che sia normale che poi tutti quelli successivi (uomini, intendo) siano del tipo che il massimo del romanticismo è di che gusto preferisci il preservativo?

Ecco spiegato in una frase perché, quindi, a trentacinque anni suonati la mia vita sentimentale avesse subito più buche di un colapasta (lo so, la metafora non è precisa precisa perché quelli degli scolapasta sono buchi… che uffa, maschi pure questi!), ma ai miei occhi fosse tutto normale, anzi no: inevitabile. E con uno di quei romanticoni c’ero pure stata a un passo dall’altare, senonché lui – un mese prima – era inciampato tra le gambe di un’altra (la ragazza che avevo scelto come truccatrice per il gran giorno) e io, miracolosamente, avevo deciso che quello no, quello non era normale.

Da allora niente, basta, chiuso: uomini lontani da me, fino a che non avessi sentito al tg la notizia che delle scienziate avevano ricreato in laboratorio il DNA di un uomo perfetto. E, siccome ritenevo improbabile sentire una notizia del genere fra quella di un incremento della curva pandemica e quella di una nuova guerra in Europa, avevo trovato il modo per riempire la mia vita senza uomini: amiche, lavoro, hobby e corsi vari, palestra e tutto l’armamentario standard da zitella (pardon, da single). Era come mettersi a dieta, con gli stessi svantaggi e benefici: tu a stecchetto mentre attorno a te tutti decidono di sbafarsi maiali interi (nello specifico di sposarli…).

Il periodo peggiore della dieta si approssimava, anche se facevo finta di niente: San Valentino era alle porte anche per quell’anno. Negozi, bar, spot televisivi, persino la mia nipotina di sette anni: tutti a mostrare cuoricini e cioccolatini! E io a biascicare tra me e me la frase di mio padre (che un cuore non ce l’aveva mai avuto, ma che per quel suo cuore latitante era alla fine morto, folgorato da un infarto).

Proprio come in quel preciso momento, mentre stavo ferma davanti a una vetrina minuscola di un bar, probabilmente noto solo a pochi in un vicolo del centro storico, e però addirittura traboccante di rosso cuore e di blu perugina (ma i Signori Perugina festeggiano San Valentino o piuttosto celebrano l’impennata d’incassi?). E mi sentivo cinica (oh no! Proprio come mio padre!) e arida. Era dura credere nella dieta mentre tutte e tutti mangiavano abbondantemente, anche se si nutrivano di schifezze. E io avevo giurato a me stessa che era meglio il digiuno del cuore piuttosto che le schifezze degli str***i.

Quando attraverso il vetro intercettai il sorriso e lo sguardo di una vaga figura maschile, mi sentii come colta in fallo. Che diavolo immaginava quel tipo là dentro, nella penombra di quel buco dolciastro, che io stavo pensando al mio Valentino o che, peggio, spasimavo per averne uno che mi riempisse di stupidi gadget omologati? Strinsi stizzita le labbra e bruscamente mi voltai per andarmene. Calcolai male l’ampiezza del marciapiede e finii con un piede (tacco dieci) sul basolato reso sdrucciolevole dalla pioggia. Non volli nemmeno immaginare quanto goffa potessi apparire nel tentativo, per fortuna riuscito, di non perdere l’equilibrio e ritrovarmi con il culo per terra. Recuperai stabilità e dignità e ripresi il mio cammino, verso piazza Settangeli. Come sempre, mi fermai qualche secondo quando girai l’angolo – ammaliata come ogni altra volta dal prospetto absidale della maestosa Cattedrale che si stagliava contro il cielo basso e grigio. Se gli uomini fossero stati come monumenti del genere, capaci ogni volta di dare un’emozione sempre nuova e intensa, io non sarei stata condannata alla zitellaggine! Mannaggia!

Pensai di avere le allucinazioni, quando vidi materializzarsi davanti i miei occhi intenti la forma di una mano, forte e curata, tesa a palmo in su verso il cielo. Socchiusi gli occhi e mi tirai impercettibilmente indietro per mettere a fuoco sull’oggetto che svettava sul palmo. Scorsi con sguardo stupito sulla forma tonda e raffinata del concorrente dorato dei Baci: un gloriosissimo Ferrero Rocher.

«Ma che…»

Guardai di botto ciò che era attaccato alla mano protesa, ovvero la persona che mi si era materializzata al fianco. Bel cappotto scuro, pashmina attorno al collo, occhiali da sole tirati sulla testa, occhi scuri e luminosi, un sorriso gentile e fermo.

Un uomo! – esclamai dentro di me, con lo stesso istintivo disgusto che avrei riservato a uno scarafaggio.

Mi trassi indietro e quasi mi feci scudo del mio ombrello.

«Quindi?» feci aspra – il tono che avevo studiato a tavolino per tenere a distanza i tipi per strada che, come per contratto genetico, si sentivano in dovere di abbordarmi.

Di solito ottenevo l’effetto desiderato; questa volta, invece, l’uomo davanti a me tirò l’altra mano fuori dalla tasca e mi mostrò un altro Ferrero Rocher.

«Io ho il mio», rispose rassicurante – come se io, piuttosto che liquidarlo, avessi espresso la mia titubanza a privarlo della tonda leccornia.

Lo fissai caustica, ma tornai a guardare il cioccolatino che ancora stava sul palmo in su.

Beh… era comunque degno di nota, lo dovevo ammettere, che quel tizio quarantenne, piacente e intraprendente non avesse scelto uno dei quattrocentomilasetteceventitremilionidimiliardi di Baci che imperversavano ovunque!

«Non che io ce l’abbia con i Baci perugina…»

Ma che cavolo: leggeva nella mente o io avevo incautamente pensato ad alta voce?

«…è che certe folgorazioni vanno omaggiate con l’originalità, no?»

Inarcai un sopracciglio, sarcastica – le conoscevo tutte ormai le sfumature di sinonimi per quella mia espressione: ironica, caustica, aspra, derisoria, mordace, sprezzante e via per il resto del vocabolario. Ecco che anche il bel tipo dal bel cappotto (e dal bel portamento, lo confesso) si metteva in modalità abbordaggio. Certo, sentivo una sensibile lusinga dentro di me a quelle parole, come anche al suono di quella voce: cortese e affabile ma non insinuante né complice. Allora lui rise, una risata breve ma calda e carezzevole.

«Me ne sono accorto anche prima, della sua straordinaria capacità di esprimere emozioni complesse con lievi movimenti della bocca o delle sopracciglia: è affascinante!»

Il mio sguardo si fece stupito.

«Prima?»

«Sì, prima: mentre lei guardava disgustata la vetrina del bar stracolma di Baci!»

Ah! Era lui il tipo che avevo intravisto? Era lui il tipo dinanzi al quale mi ero quasi schiantata sul basolato?

«Uh… sì… non apprezzo la commercializzazione dei sentimenti.»

Come faceva a starsene lì ancora a palmo in su senza sentirsi – e soprattutto senza apparirlo minimamente – un perfetto idiota?

Il suo sorriso ebbe una sfumatura di tenerezza.

«Ma no, perché? Non è una commercializzazione… voglio dire: ok, c’è tutto questo mercato del San Valentino a tutti i costi, ma di per sé non è sbagliato celebrare l’amore, no? Sì, lo penso anche io che, quando si ama veramente, ogni giorno è giusto per celebrare la persona che amiamo e ringraziare Dio che ce l’ha messa sulla strada, però penso anche che San Valentino sia un poco come la faccenda dei compleanni…»

«La faccenda dei compleanni?»

«Sì, quella! Io posso desiderare ogni giorno di regalare qualcosa alla persona che amo e magari spesso posso farlo, ma non sarebbe troppo brutto se poi, proprio il giorno del suo compleanno, non le regalassi nulla?»

Ripetei fra me e me a rapidi giri quella frase, per comprenderne il significato. Eppure, era una frase sintatticamente semplice e chiara! Ah già, il mio problema era a un altro livello di comprensione, quello emotivo. Ero stata svezzata da una sfilza di uomini per i quali non è con un regalo che ti dimostro il mio amore. Taccagni bastardi! Quel tizio lì, invece, stava dicendo esattamente l’opposto? Dovevo verificare la mia decifrazione!

«Cioè… lei sta dicendo che San Valentino sarebbe come un compleanno? E che, quindi, sarebbe di cattivo gusto non fare un regalo?»

«Più che di cattivo gusto, di cattivo cuore, no?»

Fece quella precisazione con divertita gentilezza, poi spostò lievemente la mano per avvicinarla maggiormente a me. Io esitai, scrutai in quegli occhi neri che sostennero i miei e continuai a farlo – pronta a cogliervi il trionfo del conquistatore – mentre allungavo due dita e le poggiavo sul cioccolatino. I suoi occhi si illuminarono di un sorriso, in effetti, anche se più di gioia che di successo. Allora fui tentata di ritirare la mano vuota e di ricordarmi di essere a dieta. Quello era il tipo d’uomo ancora più subdolo: capace di mimetizzarsi ai primi approcci nei panni di Cavaliere! Allora, io gli avrei reso pan per focaccia! Avrei preso il Ferrero Rocher – di cui ormai sentivo sapore e morbidezza invitanti e irresistibili in bocca – e poi lo avrei liquidato.

Quindi, tirai con me il cioccolatino, circospetta, e lui annuì soddisfatto. Scartò il suo e io lo imitai. La bontà e la dolcezza della pralina mi fecero quasi svenire di piacere e dovette trapelare all’esterno, perché lui rise e addentò il suo.

«Ho fatto un’ottima scelta…» sussurrò quindi, tenendo i suoi occhi nei miei.

Mi sentii avvampare d’imbarazzo, ma anche di una sensazione che in realtà mai avevo provato prima: quella di sentirmi speciale agli occhi di qualcuno.

Mi porse la mano destra e al volo io lanciai un’occhiata alla sua sinistra, certa di individuarvi la vera d’oro all’anulare – che però risultò disadorno. Uhm… il tipo che la toglieva per andare a caccia?

«Gianluca…»

Strinsi la mano con qualche esitazione e mi presentai a mia volta: Veronica.

Sorrise compiaciuto al suono del mio nome, come se lo approvasse.

«Sta andando a un appuntamento? Un impegno?» mi domandò; e per la prima volta avvertii anche in lui una certa emozione, una specie di preoccupazione mista a felicità.

Uhm…

«Ne torno, in realtà…»

Il suo sorriso si aprì di gioia, quasi come la mia nel mangiare il Rocher! Si volse e indicò il tetto della Cattedrale alle sue spalle.

«Posso portarla lassù?»

«Ma… piove!»

Lo obiettai, ma – confesso – con molto dispiacere, in realtà, perché quella profferta mi era sembrata meravigliosa.

Lui guardò il cielo con uno sguardo sornione e rise. Dovetti lanciare un’occhiata oltre il mio ombrello per capire che cosa lo avesse rallegrato: l’ampia macchia d’azzurro che stava scolorando il grigio. Ci guardammo e il cuore mi saltò in gola.

Non è una schifezza lui – esclamò una voce festosa dentro di me – puoi mangiarlo, se vuoi, dai dai, mangia mangia, ti prego ti prego!

Serrai le labbra, preoccupata, e feci un passo indietro. Gianluca, allora, mi porse invitante una mano.

«Ho tutta la voglia e il tempo per insegnarti a fidarti di me, Veronica…»

Lo fissai stralunata: come faceva a leggermi a quel modo?!

Mi strinsi nelle spalle e sorrisi lieve. Non presi la sua mano, ma mi affiancai a lui chiudendo l’ombrello. Me lo tolse di mano e mi porse il braccio, che io accettai – ritenendolo un contatto meno compromettente. Rise divertito e quasi rassegnata capii che ancora una volta aveva decifrato la mia lettura.

«Andiamo a innalzarci! Non ci sono mai salito. Tu?»

Mi infuse una maliziosa soddisfazione scoprire che avremmo condiviso quel battesimo dei tetti.

«No, mai neanche io!»

«Fantastico! Così sarà una sorpresa per entrambi…»

Mi guidò delicato verso la Cattedrale e già mi raccontava della prima volta che era arrivato a Palermo – vent’anni prima – per studiare, dopo aver lasciato il paese di mare in cui era nato e cresciuto. Lo ascoltai divertita e – soprattutto – mi ritrovai a interloquire garrula e spontanea come mai avevo potuto fare con i precedenti partner.

Si fermò, però, prima di varcare la soglia del portale e mi guardò ancora dritto negli occhi. Mi riavviò una ciocca di capelli dalla fronte, con una tenerezza intensa come non avevo mai saputo che potesse esistere.

«E… a San Valentino che facciamo?»

Lo fissai stupita, ma col cuore impazzito ovunque. Deglutii a fatica, ma iniziavo a sentirmi felice.

«Una… una torta?»

Gianluca sorrise ancora, colpito.

«Per il compleanno dell’amore?»

«Eh sì… hai ragione tu: è troppo di cattivo cuore non celebrarlo…»

Assentì contento; poi mi indicò la porta e mi lasciò varcare per prima la soglia, subito dopo affiancandomi al cospetto della magnificenza della Cattedrale; pronti entrambi a innalzarci.

 

Un cioccolatino per ogni cretino.

Mi dispiace, papà, ti sei perso molto, lo sai? E anche io; forse neanche per colpa tua.

Adesso ho Gianluca, però, e i nostri immancabili Ferrero Rocher che nel nostro romantico sdolcinato esclusivo linguaggio è come dire ti amo come nessun altro potrebbe: in modo originale. Non è bellissimo?

Ah…. Dimenticavo: domani mi sposo!

E a truccarmi sarà un uomo. Non si sa mai…

 

© Patrizia Grotta e Ljus av Balarm


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