Sebbene io lo ritenga inconcepibile, ho ormai dato per assodato che molte persone odiano il Natale. Dicono di disprezzarne le manifestazioni materiali, quella della corsa rabbiosa ai regali – neanche fosse una lotta per la sopravvivenza – o quella delle discussioni sul pranzo e la cena perfetti, o su dove, come, con chi. Oppure dicono di odiarlo per ribellione contro una generica Chiesa cattolica. E affermano di ritenere ipocrita augurare serenità agli altri, come se, invece, meritassimo tutti odio e sofferenza.

La verità è un’altra e ne sono sicuro oggi, che mi avvicino più ai sessant’anni che ai cinquanta: le persone – come tanti Grinch – odiano il Natale perché non riescono a contattare la gioia pura dentro sé stessi e allora non tollerano che gli altri ce l’abbiano e la coltivino. Sebbene negli anni alcune circostanze ci abbiano provato, i Grinch non mi tireranno mai dalla loro parte, perché io ho il mio antidoto contro questa forma di aridità dell’anima e ce l’ho da trent’anni ormai. Ce l’ho da quello che – ogni volta che mi compiaccio nel raccontarlo o nel raccontarmelo – io chiamo il mio Natale scelto.

Posso raccontarlo anche a te? Magari riuscirò a farti cambiare idea – naturalmente se sei un membro del partito contro-natale!

 

Devi venire con me, indietro nel tempo e in un altro spazio. Mi troverai diverso, più giovane, senza dubbio, inesperto e un tantino spaesato. Da un paio di mesi, vivo in una città del Nord Italia, che ancora non conosco oltre l'isolato in cui vivo, di certo bella ma a volte, come dire, astrusa per me che vengo dalla Sicilia. È il 24 dicembre e sono solo in questa casa nuova e grande. O forse mi sembra grande perché è ancora poco arredata? A te che pare?

Come dici? Ah! Non riesci a vedermi? Beh, lo capisco: in questo momento ho più la forma di un bozzolo di lana, piuttosto che di un essere umano. Devi spingere l’occhio fino al grande divano che troneggia in un salone altrimenti quasi vuoto e mi troverai lì, sdraiato, avvolto nel plaid dai quadretti molto ma davvero tanto natalizi. L’unica cosa che appare dal bozzolo sono i miei occhi: uno alla TV, che dà un vecchio film con James Stewart che conosco a memoria ma che ancora mi piace e mi sorprende; l’altro occhio alla portafinestra sul balcone, oltre cui la neve cade a grossi fiocchi. All’inizio, sono stato a guardarla a bocca aperta, come un bambino in preda allo stupore, perché non ne ho mai vista tanta, di certo non nella mia Palermo. Poi, però, il freddo attraverso i vetri gelidi mi ha spinto a cercare riparo nel calore soffice del plaid sul divano.

In questa notte solitaria, mi fanno compagnia la tv – con i film che tanto io amo – e il maestoso albero di Natale all’angolo della sala, con le sue luci intermittenti che brillano sugli addobbi nuovi di zecca.

Mia madre mi ha chiamato quattro volte, da giù, tra mattina e pomeriggio, e ogni volta mi ci è voluta una dose maggiore di pazienza e di spirito natalizio, per parare i colpi del suo rammarico e del suo dolore: se dovevo stare da solo – ragiona – perché non sono sceso a Palermo almeno per quei due giorni? Come si può stare senza la famiglia in quelle ore di festa? Sarebbero tutti felici di abbracciarmi! Tanto, che cosa è un letto in più o un posto in più a tavola da approntare anche all’ultimo istante? L’ho voluto davvero io, di restare in questa città sconosciuta e gelida, o ci sono stato costretto?

Papà ci mette un attimo a venire a prenderti, pure a costo di viaggiare di notte, pure a costo di farsela in auto!

È inutile che io le spieghi che sono rimasto quassù per mia scelta e non certo per costrizione, per stare vicino alla persona che amo: mia madre ancora questa mia presunta rinuncia alla famiglia non l’ha capita e non l’accetta, soprattutto perché lo sa che stanotte la persona per cui sei solo è di turno e quindi io non avrò nessuno al mio fianco, mentre la Vigilia diventa Natale. Anche io, a parti inverse, direi a qualcuno quello che mia madre dice a me.

E io, dal canto mio, so che Natale è una festa da compagnia, come ogni anno precedente della mia vita palermitana è stato. Ho una collezione vivace e sconfinata di ricordi natalizi nell’abbraccio affettuoso e variopinto della mia famiglia allargata, tutti insieme immancabilmente al casale di campagna! Tombole caotiche e interminabili con il nonno a smorfiare ogni numero; attese spasmodiche per lo scoccare della mezzanotte e il via libera all’apertura dei regali; profumi conturbanti dalla cucina e il sorriso di mamma, zie, nonne che mi invitano all’assaggio mentre mi porgono mestoli colmi di bontà e amore.

Com’è, Marco? Ti piace? Ci preferisci sopra la salsa o lo vuoi in bianco? Ma no, che tu te li mangi tutti e due, vero?

La sacralità della messa della Vigilia, il sapore della cioccolata calda, le chiacchiere a bassa voce con mia sorella e i nostri cugini, infagottati nelle coperte, fuori, sotto un cielo infinito di stelle e desideri.

Da grande sarò un chirurgo; io viaggerò per tutto il mondo; io avrò un negozio tutto mio; noi saremo il meglio di ciò che potremo essere e saremo felici e insieme.

 Ghirlande luminose scintillanti fra i rami degli alberi; lo sguardo soddisfatto di mio padre per la gran fascina di legno con cui attizzare le fiamme del vecchio camino in pietra rossa.

Staremo al caldo per tutte le feste, Marcuzzo bello, e ci godiamo tutto meglio.

Che per mio papà è come dire:

vi voglio un bene dell’anima, a tutti, anche se non ve lo so dire a parole.

Vorrei fare un film di questo patrimonio di ricordi e offrirtelo in segno di pace, affinché tu possa vederlo con la mente e con l’anima che non c’è ipocrisia ad amare, ad augurare il meglio, anche solo urlando gentili:

buon Natale a te e a tutta la famiglia!

Che c’è di male? Hai paura di apparire banale? Sciocco? Di essere deriso? Davvero ti importa di questo?

No, non voglio farti la predica, ma c’è un motivo se ti sto portando al cospetto del mio me di trent’anni fa, no?

 

I ricordi mi vorticano nella testa, proprio come i fiocchi di neve sul balcone. Potrei continuare a elencarteli, all’infinito, e – lo confesso – una parte della mia mente, anche in questa Vigilia, manda a ripetizione in onda quelle memorie per i miei occhi interiori. Se mi vedi abbassare le palpebre, non è perché mi sto addormentando, non sarei così scortese da invitarti nella mia vita e poi mollarti per un colpo di sonno! Sto ricordando con tale intensità, da raccogliere ogni percezione sensoriale e potertela offrire come pane appena sfornato. Perché mi manca tutto quello, certo che mi manca! A chi, sano di mente, non mancherebbe? Mancherebbe anche a te, puoi dirmelo: io non lo riferirò a nessuno, questo segreto nascosto nel tuo cuore corazzato. Mi manca la mia famiglia, le nostre tradizioni, i nostri posti, quel senso di forza e protezione collettiva che è come un nido caldo caldo e comodo comodo. Ma un nido non può essere per sempre, lo sappiamo. E forse è questo che ti rende arido? La paura del volo dal nido? O la consapevolezza che il nido non è più il posto per te? E allora qual è il tuo posto nel mondo?

 La verità è che la vita cambia, la mia vita è cambiata. Non nel senso di peggio o meglio. Cambia perché si cresce e io, in questo momento in cui mi hai seguito, ho ventisei anni, una laurea, il sogno di scrivere per la Tv e un Amore che è più grande di quanto io avessi mai potuto immaginare. È forse la paura per l’amore vero che ti fa odiare il Natale, mio caro Grinch?

Ed è per questo amore più che per i sogni di gloria – anche per quelli, naturalmente – che oggi preferisco così, preferisco essere solo nella stessa città dove c’è il mio amore, nella nostra casa da riempire, piuttosto che in compagnia di tutta la famiglia allargata in una casa piena ma in una città dove il mio amore non c’è! Sarebbe stato facile preferire questo, se l’altro non mi fosse mancato tanto.

 

Il film – l’intramontabile La vita è meravigliosa di Frank Capra – è ai titoli di coda, me ne sono perso metà, concentrato sull’altra proiezione, quella interna alla mia mente. Tu lo hai visto tutto? O odi anche quello? Peccato, perché sta già lì tutto quello che vorrei dirti oggi, come sta ne Il Canto di Natale e, udite udite, persino nella tua biografia da Grinch! A proposito, tu che ti trinceri dietro al panciuto uomo verde, sei certo di aver letto o visto fino in fondo la storia del Grinch? Lo sai come va a finire, giusto? Magari dagli una controllatina... ;-)

Guardo l’orologio: è mezzanotte e un quarto. Mi sarei aspettato che mia madre mi chiamasse, allo scoccare della mezzanotte, per farmi gli auguri. Ah no, è a Messa con gli altri. O mi aveva detto che non sarebbero andati, rimandando all’indomani? Ora che ci penso, non mi ha chiamato nemmeno all’ora di cena. Sono stato troppo bravo a persuaderla che non ho bisogno che si preoccupi per me? Attenzione a ciò che diciamo agli altri: porca miseria, potrebbero prenderci sul serio!

Mi guardo attorno. Il salone è davvero enorme, moltiplicato nei riflessi sui vetri delle due finestre e della portafinestra. C’è silenzio nel mondo ovattato dalla neve. Neanche il mio amore mi ha chiamato, allo scoccare della mezzanotte. Lo avrei voluto, ma capisco che il suo è un lavoro delicato, senza pause, a volte. Me lo ha detto chiaramente, quando mi ha chiesto di seguirlo nella nuova città, quando ha individuato la convergenza fra la sua carriera e il mio desiderio di diventare uno sceneggiatore affermato:

in quale altra città, se non Milano, questo match fra noi potrebbe essere migliore? Anche se io, amore mio, troppo spesso dovrò essere fuori casa, per questo lavoro che mi piace dannatamente ma che mi prende così tanto, a volte troppo.

L'ho vista come un’occasione, sai, di quelle da non perdere. E infatti non l’ho persa. Per questo non voglio lamentarmi, se sono solo mentre entro nel giorno di Natale. 

Mi stiracchio pigramente, prendo un profondo respiro. È meglio andare a letto, a questo punto, e svegliarmi quando non sarò più solo, al suono del suo rientro. Uhm… è strano, però, come sia facile farsi suggestionare dal desiderio: percepisco il profumo del suo dopobarba, mentre – controvoglia – mi sbozzolo dal plaid. E sento persino dei passi, che echeggiano nella casa ampia e quasi vuota ancora. Tu li senti?

No, no, non può davvero essere una suggestione! Mi volto di colpo, in ginocchio sul divano e il cuore mi carambola in gola. Il mio amore è davvero lì! Ha l’impermeabile zuppo, una bottiglia di champagne in mano e il suo sorriso mozzafiato sulle labbra.

«Sei sveglio, allora!»

Mi raggiunge sul divano e io lo abbraccio all’istante, incredulo ma felice.

«Non ci potevo stare là sapendo che il mio amore era qua, tutto solo, la notte di Natale», mi sussurra, «così mi sono preso il resto della notte libera e me ne sono venuto. A Natale sono tutti buoni e nessuno delinque!»

«Ma se se ne accorgono, se…»

«Mi cazziano? Chi se ne fotte! Buon Natale, amore mio! Il nostro primo Natale insieme nella nostra casa!»

Mi bacia, mi fa ricordare perché sono così felice da quando è entrato nella mia vita – due anni fa, per una denuncia – e perché sono finito in quella città che non ha nemmeno il mare!

Stappa la bottiglia, brindiamo – neanche fosse Capodanno – e poi corro in cucina per preparargli qualcosa di buono degno di una notte di Natale – la genetica è genetica, c’è poco da fare! Mentre accendo il gas, già con un menu semplice ma gustoso chiaro in mente, ho una nuova allucinazione, meno romantica ma sicuramente, mamma mia!, stuzzicante per lo stomaco. È una miscela di panelle e di sfincione; le panelle di mia madre e lo sfincione di mia zia, impareggiabili entrambi. Stuzzica anche te, vero? E li senti anche tu questi altri rumori, come dei mormorii da complotto? Ma che cavolo sta succedendo!

Coperchio della pentola in mano, mi affaccio sulla soglia che dalla cucina guarda la porta d’ingresso. È solo un istante, prima che un gruppo di persone con aria da flagranza di reato si immobilizzi, come se stessimo giocando a un due tre, stella (non fidarti di chi, oggi, ti dice che in realtà è un due tre, stai là!). Allibito, scorro con lo sguardo su mia madre, mio padre, mia sorella, gli zii, i cugini… oh Dio, persino le nonne e i nonni! Tutti, o quasi, con le mani e le braccia carichi di roba. Visi stanchi, per qualche istante colpevoli, poi emozionati. E, su tutti, il sorriso consapevole e complice del mio amore, che guarda il contenuto umano della sala come se fosse il suo capolavoro.

«Non ci posso credere…» sussurro.

Ed è il la che fa esplodere il successivo concerto di baci, abbracci, auguri, racconti di un viaggio organizzato al volo e del segreto da mantenere:

guai a te se ti lasci scappare una sillaba! Ma ci faranno imbarcare sull’aereo tutta questa roba? Ci starà rimanendo male se non lo chiamo, gioia mia?

Mi lascio avvolgere, travolgere, cedo il dominio della cucina – mio da due mesi – alle donne di famiglia, mentre già gli uomini apparecchiano la tavola e tirano fuori il vino buono delle vigne di casa. E non capisco se sono più incredulo o felice, con il sospetto che mi sfiora di star sognando, proprio come George Bailey in La vita è meravigliosa. Lo sguardo del mio amore, però, mi dice che no, non è un sogno, è tutto vero, è il suo regalo, il suo incredibile regalo per me. Per me che ho scelto di essere a Natale con lui, che ha scelto di sorprendermi con quella follia. La nostra casa quasi vuota ora è piena, anzi colma, di persone, di voci, di festa. Della voce di mia madre che, sopra la sua carezza, mi sussurra:

«Lo ha organizzato Lorenzo, stamattina stessa, lui mi ha chiamata, a me... che cuore grande che ha, curuzzo mio. Hai scelto bene, sai, come quando io scelsi papà tuo…».

È il sugello, sul mio cuore, sulle mie scelte, sulla mia gioia, sulla mia certezza che Natale sia magico sopra ogni cosa!

Ora si mangia, si brinda, si scartano i regali, si festeggia, si dorme ovunque capiti, perché tanto basta una coperta a fare letto e un tetto a fare famiglia.

E l’alba si accende, sulla scelta di ognuno di noi, che è felice quando abbraccia quella dell’altro.

 

Ecco, torniamo a oggi, cala il sipario, si spegne il proiettore. Ce ne sono stati tantissimi di Natali dopo quello, naturalmente, alcuni su, alcuni giù, finché finalmente Lorenzo e io non ci siamo ritrasferiti a Palermo. La famiglia ha attraversato grandi mutamenti - in questi trent'anni: nuove nascite, tristi lutti, aggiunte acquisite. E di anno in anno, di generazione in generazione, è cresciuta la mia consapevolezza del vero senso del Natale, del suo significato più intimo e inscalfibile. Che non sta nei regali, non sta nella nascita di Gesù bambino, né nella pietanza perfetta da far gustare o nella faraonica organizzazione per non scontentare nessuno.

Natale è fermarsi nel caos della vita, deporre le armi della quotidianità, acquartierasti fra le mura dell’amore, respirare la libertà di gioire. Natale è una scelta dell’anima; un Natale scelto – come il mio allora e poi ogni anno.

Come potrebbe essere anche il tuo, se solo la smettessi di vestire a oltranza i panni del Grinch… e se accettassi di far crescere il tuo cuore di almeno tre taglie!

 

Ah... buon Natale! A te e famiglia...


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