E quel giorno arrivava sempre, puntuale; oddio se gli venisse in mente di saltare un anno! L’aggravante, poi, era che quel dannato ventiquattro dicembre arrivava anche se Andrea non voleva, se faceva di tutto per convincersi che non sarebbe arrivato. E certo, come avrebbe potuto essere altrimenti: nonostante la sua convinzione di quegli ultimi sette anni, non era veramente possibile controllare tutto! Non certo lo scorrere del tempo, non certo l’evolversi inesorabile del calendario!

    Una cosa, però, Andrea la poteva controllare ed era la sua predisposizione d’animo verso il mondo, che – soprattutto in quel periodo – era misantropa. La sua vendetta si consumava proprio in quel giorno, in cui usciva da casa con la precisa intenzione di trovare qualcuno con cui litigare, qualcun altro a cui rovinare l’umore, qualcuno ancora a cui dare la colpa dei suoi dolori. Che poi ormai, dopo sette anni, dolori non erano quasi più, coperti com’erano da rabbia e risentimento; a volte persino d’odio, un odio generico, cosmico, in cui tutto e tutti potevano essere bersaglio e origine. C’era persino una perversa soddisfazione in quello: rovinare l’atmosfera da festa alle persone attorno a lui, affinché gustassero un’oncia del sapore amaro che Andrea stesso un giorno aveva assaporato, quando tutta la sua vita era crollata in un attimo. Un solo attimo di distrazione, uno sguardo sul tetto per controllare che quel pino fresco e profumato fosse ancora saldo fra le cinghie e… bam… l’irreparabile, l’auto contro il guardrail, il suo cuore l’unico che sopravviveva, il suo corpo l’unico che usciva indenne da quelle lamiere aggrovigliate e fumanti. Lì dentro i suoi amori, la sua…

     No, ecco, non doveva essere così! Non doveva vincere ancora il dolore! Doveva essere il giorno della vendetta quel ventiquattro dicembre, doveva essere il giorno in cui lui stesso portava dolore agli altri!

Era l’alba, la nebbia d’umidità notturna stava ancora accoccolata sul mare, l’aria era frizzante di fresco, ma il cielo appariva già limpido. Incurante di tutto quello, Andrea aveva già indossato la sua divisa di vigile e preparato le armi della sua vendetta: penna e libretto delle contravvenzioni. Pronto a calare sulla borgata marina assonnata, uscì da casa – la villetta a ridosso della spiaggia che tanto sua moglie…

No, ancora?! Che gli succedeva quella mattina? Perché non si focalizzava sulla missione ventiquattro dicembre?! Lo sapeva perfettamente che non poteva esserci spazio per altri pensieri, che le emozioni se ne stavano sempre lì, infide e bastarde, sulla soglia del suo cuore, pronte più di lui a calare come avvoltoi se solo gli avesse mostrato le proprie ferite.

Attraversò il vialetto, tra le due ali di giardino, e si accorse del bambino sulla spiaggia già prima di arrivare al cancelletto di casa. Vestito di una maglietta a maniche corte e di leggeri pantaloni, indossava un vivace cappello rosso con pellicciotto e pompon bianchi. Se ne stava inginocchiato sulla sabbia umida e intento a un’attività che lo teneva chino. Lo osservò continuando a camminare e presto si accorse che stava creando qualcosa sulla sabbia, usando dei sassi e delle alghe. Dovette però avvicinarglisi per definire la forma dell’opera: la sagoma di un… ma no, che cavolo, di un albero di Natale?! Proprio la cosa che da sette anni più odiava al mondo!

«Ehi tu, ragazzino! Che stai facendo?!»

Il bambino rimase assorto sulla sua composizione e Andrea si accorse che aveva anche dei legnetti, con cui stava abbozzando i rami.

«Oh, ma sei sordo?! Con te sto parlando!»

Niente, neanche a quel secondo richiamo il bambino si lasciò distrarre. Che fosse davvero sordo? E che diavolo ci faceva alle sei e mezza del mattino lì in spiaggia un bambino di… boh, sette anni?

Gli ghermì una spalla con una mano, sentendone le sottili ossa sotto la carne.

«Sto parlando con te!»

Il bambino, allora, sollevò finalmente lo sguardo e gli rivolse un largo sorriso che ad Andrea parve persino spudorato.

«Lo so!»

«Ah, lo sai! E allora perché non mi rispondi?»

Il piccolo scrollò una spalla e con un cenno del mento indicò la propria opera.

«Me li prendi dei fiori dal tuo giardino? Aspettavo che ti svegliavi, non mi pareva giusto entrare mentre dormivi… Se mi prendi qualche fiore rosso e qualcuno di un altro colore che preferisci tu, va bene.»

«Che?! Ma sei fuori? A proposito di fuori, che ci fai qua a quest’ora? Tua madre lo sa che sei in giro all’alba?»

«Sì che lo sa…»

«E ti lascia venire?»

 «Sono qua, no?»

«Sei qua… Appunto, che ci fai qua?»

«L’albero di Natale!»

«L’albero di Natale… Ma non si può sentire! E te lo vieni a fare qua, davanti a casa mia?! Perché non te lo fai a casa tua? Dov’è che stai?»

Il bambino indicò il porticciolo che si modellava attorno al golfetto.

«Là sto… Aspetto mio padre che torna... E nel frattempo mi passo il tempo. Me li porti o no ‘sti fiori, dai!»

Andrea lo fissò allibito, ma il bambino sfoderò un altro gran sorriso di denti piccoli e bianchi, qualcuno più storto e un paio mancanti, ma luminoso come il sole che stava imbiancando tutto il cielo ormai.

«Ricordati, mi servono fiori rossi, poi gli altri colori li puoi scegliere tu.»

Andrea allargò le braccia, ancora più incredulo. Fece per mandarlo a quel paese, ma poi ancora notò l’abbigliamento leggero del bambino.

«Ma non hai freddo?» gli chiese, con una parvenza di cura. «Com’è che ti chiami?»

Il bambino gli rivolse una lunga occhiata di insolita dolcezza.

«Nicola mi chiamo. E tu?»

«Andrea…»

«Ciao, Andrea! No, non ne sento freddo. E tu?»

«Freddo? No, io non lo sento… Sei tu che sei quasi nudo…»

Il bambino tornò serenamente a sistemare gli elementi del suo albero.

«E stai bene, Andrea?»

Andrea ristette, colpito al cuore. Che gliene fregava a quel moccioso impertinente di come stava lui? Eppure, udì sé stesso rispondere in un soffio:

«No».

Il bambino sospirò lungamente – o almeno così parve ad Andrea – poi si alzò ripulendosi le mani dalla sabbia e allora gli andò vicino e lo abbracciò con forza. Immobile e rigido, Andrea spalancò gli occhi. Il cuore gli martellava d’improvviso in gola e nelle tempie, mentre percepiva profondamente quel corpo esile che lo avvolgeva ai fianchi. Non aveva permesso a nessuno di abbracciarlo nemmeno quel giorno di sette anni prima, nemmeno nei terribili giorni successivi… mai! Strinse i denti e si chinò, d’impulso, così da lasciare che le braccia del bambino gli si avvolgessero attorno le spalle. Restò a quel modo per un tempo che gli parve immenso ma al contempo brevissimo. Si scostò, poi, e incontrò i grandi occhi neri del bambino.

«Me li prendi i fiori?» gli chiese Nicola, una carezza di sorriso.

Andrea annuì e tornò in giardino, dove scelse i fiori rossi più grossi e qualcuno giallo, altri due rosa e una manciata di azzurri. Tornò in spiaggia col suo bottino, ma non vide Nicola. Notò piuttosto un motopeschereccio che entrava in porto e immaginò che fosse quello il padre che il piccolo aveva atteso. Guardò i fiori che reggeva con entrambe le mani e pensò di buttarli, poi però osservò la composizione di Nicola e si avvide quanto bravo fosse stato a creare il tronco con i sassi, i rami con i legnetti e le foglie con le alghe: la sagoma era perfetta! Allora si chinò e sistemò i fiori perché diventassero gli addobbi di quell’albero di Natale. Dopo lo rimirò con una certa soddisfazione, perché anche lui aveva fatto un bel lavoro. Avrebbe aspettato Nicola, per mostrarglielo, ma trascorse mezz’ora e ancora non lo vide tornare. Usò alcune pietre più grosse per creare una barriera tonda attorno all’albero ed essere certo che nessuno lo calpestasse. Era sicuro che Nicola sarebbe tornato a vederlo e voleva che lo trovasse bello e intatto!

Ebbe quel pensiero in mente nelle ore successive, mentre camminava per la borgata con il suo blocco in mano, sotto lo sguardo ansioso della gente che ben conosceva la sua abitudine. Sguardi che via via però si fecero stupiti, dato che in quel ventiquattro dicembre il vendicatore in divisa sembrava per nulla intenzionato alla consueta strage di verbali. Passava accanto a bancarelle abusive, macchine in doppia fila e tavolini arbitrariamente su suolo pubblico senza quasi vederli, lo sguardo assorto e – allucinazione collettiva?! – un’ombra di sorriso che ogni tanto gli attraversava le labbra!

    Andrea non si accorse di tutto quello, fantasticando sul modo in cui Nicola gli avrebbe fatto capire di avere visto il loro capolavoro di albero di Natale! Sapeva scrivere? Gli avrebbe lasciato un bigliettino? Tanto che, impaziente, tornò in spiaggia a mezzogiorno, quasi di corsa! I suoi passi, però, rallentarono già in vista della sua casa; passi d’improvviso esitanti, con cuore lento e occhi stupefatti. Si guardò attorno, per accertarsi che non ci fosse nessuno a far da testimone a quella che non poteva che essere una sua allucinazione: là dove lui e Nicola avevano creato l’albero di pietre e fiori, ce n’era uno vero, un grande pino che sembrava emergere dalla sabbia, addobbato con palline scintillanti e luci colorate.

   Di Nicola non c'era traccia; anzi - a ben guardare - sulla sabbia rosseggiava il cappello natalizio che aveva avuto in testa quella mattina.

    Andrea si avvicinò all'albero con aria circospetta e osò persino allungare prima un dito, poi tutta la mano, a toccarlo. Sentì la consistenza pungente e aromatica degli aghi di pino, il calore delle luci, il profumo di resina. Si accovacciò e verificò che davvero il pino era ben radicato nella sabbia. Ma no, impossibile! Non c’era mai stato un pino là! E chi mai lo aveva addobbato a quel modo?! Proprio davanti casa sua? Chi poteva essersi permesso, tutti sapevano della sua idiosincrasia! Ogni anno faceva sgomberare tutte le decorazioni abusive da alberi e piante sul corso! Il suo pensiero corse a Nicola e fu certo che il bambino fosse responsabile di tutto quello, ma doveva essersi fatto aiutare da uno o più adulti, che – per forza – avevano piantato quel pino!

    Allora corse al porto, dove c’erano le casette dei pescatori, strette fra loro come in un presepe antico. Il suo arrivo provocò sgomento, preceduto dalla sua fama, ma lo stupore sostituì la paura quando Andrea iniziò a chiedere dove potesse trovare Nicola, un bambino figlio di pescatore, di circa sette anni, con gli occhi neri e i capelli corti e castani. All’inizio si irritò, perché nessuno sapeva dirgli qualcosa e allora pensò che lo facessero apposta, per ripicca verso le sue multe. Poi, però, anche una gentile donna anziana gli confermò che non c’era nessun bambino come quello lì e gli chiese perché lo cercasse.

«Perché stamattina insieme abbiamo fatto un albero di Natale di pietre, rametti, alghe e fiori e ora invece al suo posto c’è un albero di Natale vero, mi capisce, un pino con luci, palline, stelle e tutto quello che ci vuole! Se non l’ha fatto lui, lo deve vedere… Nicola lo deve vedere, perché è una cosa bellissima!»

La donna, allora, gli sorrise con dolcezza materna e gli carezzò lungamente una guancia.

«Lei lo voleva chiamare Nicola, lo sai, Andrea? Avrebbe sette anni oggi, vero, se non moriva in quell’incidente…»

Andrea sentì i brividi gelidi penetrare la sua carne, ma poi la violenta vampata di caldo che prese il suo viso. Guardò con più attenzione la donna e sussultò. Come aveva fatto a non riconoscere la nonna di… della sua dolcissima Rosa? Deglutì a fatica, fece un passo indietro, il dolore che esplodeva dentro la sua anima. E pianse, pianse come mai si era permesso di fare, mai perché la vita gli aveva tolto troppo quella sera di sette anni prima e lui non le avrebbe sacrificato anche la propria dignità! E invece in quel mezzogiorno, sotto un cielo di dicembre azzurro come neanche ad agosto, pianse ogni lacrima e ogni singhiozzo; avvolto prima dall’abbraccio dell’anziana nonna e poi dal cerchio di sincera compassione della gente lì attorno.

Col cuore ancora in gola, però, si allontanò da lei e corse alla spiaggia, dove l’albero era ancora lì, non una sua allucinazione, ma… cosa? E la gente stava già lì a guardarlo sorpresa e ammirata, commentando il prodigio. Attraversò la marea di persone, che si apriva al suo passaggio, e si fermò al cospetto del pino vivo di colori e profumo. Lo osservò, sistemò qualche decorazione, si accovacciò per controllare che le radici fossero salde abbastanza. Poi, recuperò il cappello rosso, lo spolverò da qualche granello di sabbia; quindi, rientrò casa e si spogliò della divisa. Cercò in una grossa scatola, nascosta per anni, dei grandi album di fotografie e li portò con sé sulla poltrona del soggiorno, da dove i suoi occhi potevano vedere il suo albero.

Li sfogliò per ore, mentre il buio calava e le luci dell’albero riverberavano calde e rassicuranti sul fruscio del mare. In un’occhiata verso la vetrata, gli parve di scorgere un viso dal sorriso largo e impertinente, ma non si alzò, non andò a cercarlo in spiaggia, perché ormai sapeva, lo aveva capito: il tempo di cercar fuori era finito; ciò di cui aveva bisogno era dentro lui. E per Natale avrebbe dimenticato l’odio.

 

L'albero di Nicola, un racconto di Patrizia Grotta ©2015


NB tutto il racconto, come ognuno degli altri messi disposizione gratuitamente dall'autrice, è tutelato dal diritto d'autore. Se ne vieta dunque qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, distribuzione, pubblicazione, copia, trasmissione, vendita. Gli eventuali trasgressori saranno perseguiti secondo quanto stabilito con la Legge 633 del 22 aprile 1941 e successive modifiche.