Non c’è cosa più triste della fine delle vacanze natalizie, quando a uno a uno si smontano gli addobbi che per più di un mese hanno infuso alla casa quella magica miscela fra allegro e sacro e non si può fare a meno di pensare che è sempre così: dura più l’attesa delle cose belle che poi le cose belle in sé! E così via l’albero di Natale, via il presepe, via le luci alle finestre, via la corona con il vischio e l'agrifoglio sopra la porta d’ingresso, via gli orsetti polari con il cappellino floscio e rosso dal terrazzo (ma dai, anche quelli? Uffa!).

   Non era trascorso che un lampo dalla mattina in cui Simona li aveva scelti a uno a uno tra le bancarelle del mercatino di Natale, in centro, con lo stesso entusiasmo gioioso che aveva avuto da ragazzina, quando ancora quegli acquisti li aveva fatti con i suoi genitori. Ora che madre lo era a sua volta, aveva provato a trasmettere quella gioia natalizia ai suoi due figli, ma si sa: da bambini adorano ciò che tu adori, poi crescono, iniziano a criticare, a rifiutare e infine – bene che vada – ad accondiscendere. Ma Simona non si era mai lasciata smontare, neanche dalle solite battute ironiche di suo marito, che le ripeteva sempre uguali ogni anno, ancora convinto che fossero divertenti come all’inizio. E la sua casa era sempre stata la più in atmosfera tra quelle di amici e parenti. Poi di colpo arrivava l’anno nuovo e l’epifania che tutte le feste porta via, anno dopo anno, anni che si sommavano, illusioni che si vanificavano, consapevolezze che crescevano, i figli fuori tutta la notte per il veglione, il marito sempre meno tollerante verso le stranezze delle tue sorelle e via dicendo.

   Simona, però, sapeva continuare a sorridere mentre guardava le sue decorazioni; un sorriso che si velava di tristezza ora che con cura riavvolgeva nella plastica millebolle le delicate statuine del presepe e a una a una le riponeva nella grande scatola di legno che le avrebbe custodite per mesi. Aveva già smontato l’albero, tolto le luminarie casalinghe, staccato le vetrofanie nella casa vuota: suo marito era al circolo, suo figlio era dalla futura suocera, sua figlia da qualche parte con le amiche.

   Fu un attimo improvviso e anche a sorpresa quello in cui la tristezza divenne profondo dolore, una fitta acuta proprio allo sterno. Spalancò preoccupata gli occhi e per un pelo non lasciò cadere la statuetta del bambino Gesù, che prontamente si strinse al petto con entrambe le mani. Si guardò attorno come in cerca di appiglio e tutto le parve estraneo. La casa, le scatole con le decorazioni riposte ordinatamente. Che le succedeva? Perché quei pensieri? Si era sempre detta che lo faceva per sé stessa, per non perdere lo spirito delle feste qualsiasi cosa accadesse, che non importava cosa ne pensassero gli altri. E allora?

   Indietreggiò di qualche passo e sedette sul bordo del divano nel grande salone che fino a poco prima aveva ospitato il suo maestoso albero e il suo scenografico presepe, di cui tanto andava orgogliosa. Le sembrò che niente di quello di colpo avesse senso, come un’anacronistica usanza che lei si ostinava a perpetuare, come facevano le persone anziane arroccate nelle loro abitudini di una volta. Questo era quindi? Era invecchiata anche lei e non si era accorta di essere superata con la sua mania per le decorazioni natalizie? Forse era questo il messaggio che suo marito aveva provato a mandarle con le sue battutine, cercando di non essere esplicito per non ferirla troppo? Era questo il senso del disinteresse dei suoi figli cresciuti per il posto perfetto dove mettere la tua decorazione speciale? In un’era di smartphone e meme natalizi, chi poteva più essere attratto dai riflessi colorati delle lucine sulle ali dorate degli angioletti tra i rami dell'abete?

   Rimase a lungo in quello stato d’animo prostrato ma di colpo consapevole, rivivendo le decine e decine (e decine e decine e decine…) di natali, di presepi, di alberi, di decorazioni… vecchiume, tutto vecchiume! Inutile credere che a qualcuno davvero interessasse ancora o che lei stessa fosse ancora giovane d’animo abbastanza per giocare alla bambina felice davanti all’albero acceso. Di botto si alzò, indurita da una nuova risoluzione: inutile conservare tutto, andava già fatta una dura cernita con cui sbarazzarsi della maggior parte degli addobbi e scegliere il minimo necessario da tenere per i natali a venire, perché no – che diamine! – almeno il simbolo lo avrebbe voluto persino ora che aveva capito quanto antica era diventata.

   Tirò di nuovo fuori tutto dalle millebolle ed esaminò oggetto per oggetto, sforzandosi di essere cinica nella selezione, sebbene a ogni scarto il cuore le dolesse. Non si accorse nemmeno di star piangendo silenziosa, finché le lacrime non le caddero sulla stella cometa dorata che aveva scelto tantissimi anni fa con suo figlio, quando lui aveva appena tre anni.

   «Vecchiume!»

La mise via, nella scatola degli scarti, e asciugò le lacrime con il dorso della mano. Non poteva fermarsi troppo su ogni cosa, doveva accelerare o ci sarebbero volute ore!

   Suo marito, Renato, la trovò intenta in quella classificazione vecchio/da tenere quando mezz’ora dopo rientrò in casa. Udì a stento il suo saluto, tanto che l’uomo lo ripeté affiancandola. Simona non gli rivolse parola, chiusa in quella bolla di rancore e amarezza verso tutto e tutti, continuando nella sua opera. Lui restò a osservarla qualche minuto, stupito da quell’espressione dura sul viso della moglie, prima di capire che quella in atto non era la solita operazione di delicata conservazione.

   «Ma che stai facendo?»

   «Non lo vedi? Butto via le cose vecchie!»

   «Butti via?! Ma che vuol dire?»

   «Che vuol dire? Non capisci più l’italiano? Prendo le cose, le metto in quelle scatole e poi le gettiamo nell’immondizia!»

   «Ma… e perché?»

   «Perché non ha senso rimandare al prossimo dicembre, no?»

   L’uomo scosse il capo, ancora più frastornato, e osò accovacciarsi accanto alla moglie, nonostante percepisse la sua insolita elettrica ostilità.

   «Che succede?»

   Simona lanciò malamente una pallina di velluto rosso con piccole stelline argentate applicate – ricordo di un Natale con suo nonno – fallendo il centro nella scatola.

   «Faccio spazio, no? Elimino le vecchie abitudini!»

Renato raccolse la pallina e se la tenne in mano.

   «Ma è successo qualcosa?»

   «Che deve succedere?»

   «Non lo so… dimmelo tu… Sei strana… Sei arrabbiata perché ti serviva aiuto per smontare tutto? Non me lo hai mai chiesto e ho sempre pensato che fosse perché ti piace farlo da sola, con i tuoi tempi rilassati…»

   «I miei tempi non sono rilassati, sono antichi! Finalmente l’ho capito, sarete tutti contenti, no?»

   Lui le prese una mano con la propria, impedendole di tentare un altro stizzito lancio di scarto.

   «Ehi, Simo… Ma che c’è? Di che dobbiamo essere contenti? E chi poi? Contenti che stai facendo una strage di decorazioni? Questa qui… questa non è un ricordo di tuo nonno?»

   «Esatto, di mio nonno… antica!»

   «Ma che è ‘sta fissa improvvisa per ‘sta parola… antica … Me lo spieghi o no che succede?»

   Simona si voltò finalmente a guardarlo, occhi duri ma lucidi di dolore.

   «Ho deciso finalmente di fare quello che voi mi dite da tempo: basta con queste sciocchezze, siamo tutti cresciuti abbastanza!»

   «Sciocchezze? Cioè… ma dici dell’albero, del presepe, delle tue decorazioni…»

   «Sì sì sì! Di tutto questo vecchiume!»

   «Ma chi te l’ha detto che sono sciocchezze e vecchiume?»

   Simona scoccò un’occhiata sardonica al marito, che ne fu addirittura scioccato! Tanto che avrebbe voluto imporle le dita a croce ed esclamare esci fuori da questo corpo! Quella non era sua moglie, non era la sua Simona, non era la donna romantica e sognatrice che lui conosceva e di cui si era innamorato!

   «Ma è colpa delle mie stupide battutine? Lo sai che mi piace stuzzicarti, ma…»

   «Sono io che ho capito, ok? Tutto qua!»

   Simona si alzò e cercò il nastro da imballaggio per chiudere uno degli scatoloni già pieni di scarti antiquati. Renato le andò dietro, cercando di capire se la moglie fosse improvvisamente impazzita – magari per un virus! – o se gli stesse nascondendo qualche terribile notizia che l’aveva catapultata da un momento all’altro in quella reazione rabbiosa.

   Si fermarono entrambi, però, quando udirono la voce di Gianni, il loro figlio maggiore, chiamarli allegramente dalla porta d’ingresso. Si volsero e videro il largo sorriso del ragazzo, che subito parve loro una sospettosa miscela di emozione e paura, proprio come quando da bambino doveva comunicare loro qualche brutto voto in pagella o l’ennesimo danno da partitella a calcio in cameretta. Gli andarono incontro, istintivamente circospetti, ma il giovane uomo deviò la traiettoria entrando in salone. Si accostò alle scatole e vi gettò uno sguardo dentro, subito stupendosi di vedere le decorazioni ammassate alla rinfusa anziché amorevolmente avvolte nella plastica millebolle di cui sua madre aveva scorte epocali! Frugò fa esse, mentre dalla soglia i suoi genitori lo scrutavano, finché non trovò la sua stella cometa.

   «Ehi! Ma mamma! Si rompe così!»

   Susanna inarcò ironica un sopracciglio, muovendo finalmente verso il figlio, ma non fece in tempo a parlare, perché Renato la precedette:

   «Tanto tua madre ha deciso di fare sbarazzo».

   Susanna lo fulminò con uno sguardo, perché detta a quel modo sembrava praticamente una dissacrazione!

   «Che?» fece Gianni; ma poi rise leggero, immaginando che si trattasse di uno scherzo.

   Susanna restò basita, e anche indignata, per la leggerezza con cui suo figlio accoglieva quella che per lei poteva essere una notizia da prima pagina sui giornali o in testa al telegiornale! Ancora una volta, però, non ebbe tempo di ribattere, perché Gianni tirò fuori dalla tasca del giubbotto un foglio ripiegato, che srotolò sbattendolo praticamente davanti agli occhi dei genitori:

   «Avrò un figlio!» annunciò loro, senza respirare e col cuore in gola.

   Certe notizie bomba, si era convinto venendo a casa, andavano date così, con l’effetto choc ad attutirne l’impatto.

   Susanna e Renato restarono zitti per lunghi istanti, occhi sgranati sul foglio di carta, cervelli in tilt, seri dubbi sul loro udito. Poi a poco a poco l’eco delle parole di Gianni acquistò chiarezza inconfutabile e sobbalzarono entrambi.

   «Chiara è incinta... Sì, lo so, non era previsto, non lo abbiamo cercato, lei ancora studia, io ho iniziato da pochi mesi a lavorare. Sembra una follia, abbiamo pensato pure di… beh… di abortire insomma, ma poi abbiamo capito che… cazzarola… noi ci amiamo, questo è un figlio nostro… nostro, capite? Qualcosa che abbiamo fatto insieme… insomma, come si può non volerlo?»

   Simona si coprì d’impeto il viso con entrambe le mani, il cuore che le pulsava ovunque per la sorpresa e una sottile ma già pervasiva gioia.

   Renato si sentì quasi svenire, ma vide negli occhi del figlio una determinazione che lo fece ben sperare.

   «Non è una brutta notizia, mamma e papà, ve lo giuro… Accelera solo qualcosa che avremmo progettato in un tempo più lungo, ma siamo felici… io e Chiara siamo contenti di diventare genitori… ne abbiamo parlato, ci siamo fatti i conti, ce la possiamo fare.»

   Simona lo interruppe di botto, gettandogli le braccia al collo e abbracciandolo forte. Lo stupore diventava rapidamente gioia!

   «Mamma…» sussurrò commosso Gianni, già in lacrime, affondando nella salda e dolce stretta materna.

   Renato prese un respiro profondo, cercando di stemperare lo choc. Poi gli venne da sorridere pensando alle parole di prima, quella pronunciate da Susanna: sciocchezze e vecchiume. Se ben conosceva la moglie, stavano già per diventare un ricordo. Si unì all’abbraccio dei suoi cari e poi sorrise a Gianni che lo guardò in cerca di approvazione.

   «Va bene, figliolo, è una notizia bellissima e… tempestiva, direi…»

   «Tempestiva? Perché?»

   Comprendendo il riferimento, Susanna zittì il marito con un’occhiata, prima di rivolgere di nuovo al figlio un sorriso smagliante.

   «Perché, lo sai, sono sempre un pochino malinconica quando metto via le decorazioni natalizie e questa notizia mi restituisce il buon umore.»

   Gianni la abbracciò stretta e le confidò che non era stato dalla futura suocera quella mattina, ma dalla ginecologa con Chiara.

   «Che è qui che aspetta…»

   Renato guardò stuporoso verso l’ingresso vuoto.

   «Qui… dove?»

   «Sul pianerottolo… volevo prima tastare il terreno da solo…»

   «Ma che cavolata!» sbottò incredulo Renato, muovendosi veloce per andare a “recuperare” la povera Chiara dal pianerottolo.

   Gianni lo guardò allontanarsi, con un sospiro, e poi ancora cercò lo sguardo della madre, che lo accolse protettiva.

   «È ok, mamma?»

   «Certo, tesoro… Sarai padre, io sarò nonna… è una cosa meravigliosa!»

   Lanciò un’occhiata alle scatole piene di scarti e pensò che sarebbero state sostituite dalla gioia di quella nuova creatura che sarebbe arrivato.

   «Lo farai anche a mio figlio o a mia figlia, mamma?» le domandò Gianni, intercettando il suo sguardo.

   Lei lo guardò interrogativa e Gianni indicò proprio le scatole.

   «Farai anche a lui o a lei il dono della magia del Natale che ogni anno hai regalato a me e a Dina?»

   «Cosa?» fece Simona, voce tremante per l’emozione che d’improvviso le si accendeva in cuore come una vampata.

   «Sì… nessun altro mio compagno o amico aveva… ha quella magia a casa sua… e io ne sono sempre stato felice… quella magia mi ha insegnato a credere nei sogni e nella possibilità che diventino realtà… Voglio che tu insegni questo anche a… a tua nipote o a tuo nipote… Lo farai, mamma?»

   Simona serrò le labbra per non piangere e abbracciò il figlio con immensa gratitudine. Non c’era alcun vecchiume in ciò che lei amava, allora, non c’era alcuna necessità di bollare come anacronistiche la sua passione e le sue usanze: la magia tradizionale sarebbe stata il cuore del nuovo che stava nascendo e già poteva vedere sé stessa con in braccio quel nipote o quella nipote, intenta a scegliere per lui o per lei la nuova decorazione con cui avrebbero celebrato il suo primo Natale, la sua presenza in famiglia, in quel mondo. Un mondo che poteva rinnovarsi ogni anno senza rinunciare al cuore più antico.

E meno male che aveva ancora tutta la sua scorta di millebolle; c’era tanto da riporre con cura!

NB tutto il racconto, come ognuno degli altri messi disposizione gratuitamente dall'autrice, è tutelato dal diritto d'autore. Se ne vieta dunque qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, distribuzione, pubblicazione, copia, trasmissione, vendita. Gli eventuali trasgressori saranno perseguiti secondo quanto stabilito con la Legge 633 del 22 aprile 1941 e successive modifiche.

Millebolle di cura, racconto di ©Patrizia Grotta


NB tutto il racconto, come ognuno degli altri messi disposizione gratuitamente dall'autrice, è tutelato dal diritto d'autore. Se ne vieta dunque qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, distribuzione, pubblicazione, copia, trasmissione, vendita. Gli eventuali trasgressori saranno perseguiti secondo quanto stabilito con la Legge 633 del 22 aprile 1941 e successive modifiche.