Toni guardava il cielo grigio di primo inverno attraverso i vetri striati dalla pioggia fine e densa. Il suo suono sulla finestra aveva un effetto ipnotico e accentuava l’apatia. Era capace di restare immobile in quella posizione anche per ore: sprofondato nella poltrona, il blu indaco dei suoi occhi fisso e assente, le membra addormentate. Solo il lento e ritmico sollevarsi del petto nel respiro indicava che in quel corpo ci fosse ancora della vita. Neanche l’ombra della tristezza aveva potuto abbrutire la bellezza di quei lineamenti, seppur da otto mesi ne avesse spento ogni luce. Un tempo quella luce era stata radiosa e lo stesso respiro che adesso a malapena portava ossigeno al cuore, quello stesso respiro un tempo era stato avido di vita. Vita che aveva saputo essere generosa con Toni, abbondante di scoperte, di luci, di suoni, di colori e calore. Finché un giorno di otto mesi prima una mano maligna era scivolata sulla superficie di quel magnifico quadro e di ogni colore e di ogni calore aveva fatto solo un unico freddo grigio.

L’aprirsi e il chiudersi improvviso della porta spalancarono le imposte delle finestre. Il freddo della sera invernale penetrò nella stanza, ma nell’anima di Toni era già entrato mesi addietro. Neanche a quel turbinare d’aria fredda si scosse. Giovanni avanzò nella stanza e andò direttamente a chiudere le imposte, intirizzito fin nelle ossa. Gettò dei ceppi nel fuoco nel camino che languiva e smosse le ceneri con l’attizzatoio. La fiamma esplose con uno scoppiettio e la sua luce arancione riempì la stanza. Giovanni sospirò, mostrando le palme al fuoco. Il calore gli prese le mani e pian piano scivolò per tutto il suo corpo. Solo allora si volse verso la poltrona vicino la finestra. Toni non sembrava avvertire la sua presenza. Gli andò vicino e ravviò con un gesto di tenerezza un ciuffo di capelli biondi, scivolato sulla fronte bianca e liscia. Si chinò e baciò quelle labbra rosse e serrate, che sentì fredde e immote. Eppure, ancora le amava e le bramava in quel modo che gli dava una stretta dolorosa al ventre.

«Toni», chiamò in un sussurro, accostando la bocca all’orecchio di quel corpo immobile, «sono tornato.»

Gli prese una mano e gliela strinse forte. Toni trasalì e i suoi occhi si socchiusero prima di spostarsi su Giovanni. Per un istante la pupilla si contrasse prima di espandersi quasi in tutta l’iride. Solo il fantasma di un sorriso si formò sulle sue labbra, che sembrarono sanguinare.

«Non nevica ancora…» bisbigliò; e la sua voce era roca per il lungo silenzio di una giornata.

Giovanni gli si inginocchiò davanti e si chinò a baciare la mano che ancora gli stringeva.

«Amore, non nevicherà prima se tu resti qui seduto a fissare fuori…»

Toni sospirò lungamente, ma tornò con lo sguardo oltre i vetri.

Giovanni non sapeva perché Toni aspettasse tanto la neve; una settimana prima, si era svegliato e aveva detto: nevicherà. E da quella mattina trascorreva il giorno sulla poltrona davanti la finestra. Lì Giovanni lo lasciava la mattina, quando usciva per andare a lavorare, e lì lo ritrovava la sera, quando tornava. Aveva l’assoluta certezza che non si muovesse da quella poltrona neanche un attimo durante tutta la sua assenza.

Scrutò quel viso. Ne ricordava ancora la luminosità, la solare radiosità, come del sorriso, che tre anni prima lo avevano ammaliato e trascinato inesorabili nel vortice dell’amore, stravolgendo la sua vita fatta fino ad allora di abitudine e repressioni. Il giorno in cui si erano conosciuti, Toni esponeva per la prima volta le proprie opere. I suoi quadri erano un invaso di sole, di natura, di gioia, di sensualità. Guardandoli con il respiro sospeso, Giovanni si era innamorato. E con entusiasmo aveva risposto alla domanda che la persona vicino a lui gli aveva posto:

«Che ne pensi?».

Non si era voltato a guardarlo, troppo preso dalla magnificenza di quei quadri. Quando infine lo aveva fatto, aveva subito capito che quel ragazzo bello e sorridente accanto a lui ne fosse l’autore. C’era nei suoi occhi la stessa vitalità, la stessa sensualità, l’impeto che trascinava all’estasi.

Perché non credere all’amore immediato? Tra loro era accaduto. Visti e presi - era solito scherzare Toni.

C’erano stati due anni all’insegna di una quotidiana beatitudine: le loro menti, i loro cuori, persino i loro corpi, sembravano essere stati forgiati per essere complementari, di reciproco completamento. Poi l’estasi era decaduta nell’inferno quella notte di mezza primavera, quando le sue pressioni sul rendere ufficiale la loro relazione con le rispettive famiglie avevano infine convinto Toni che la loro felicità potesse affrontare l’invidia e l’odio degli dèi. E invece, due anni di Eden erano confluiti in mesi di angoscia. E, per beffa del destino, Giovanni amava mille volte di più il suo Toni: lottava e viveva per lui, contro il dolore, il silenzio, il torpore.

«La neve copre tutto», sussurrò Toni, «copre ogni cosa…»

Giovanni guardò il cielo plumbeo e grave di nuvole. Neve a Palermo? Evento prodigioso prima ancora che raro! Lui ne aveva un ricordo vago, risalente al gennaio dei suoi sei anni, quando aveva giocato felice e stupefatto con quella soffice materia bianca, senza sapere che non lo avrebbe più fatto.

Serrò la mano di Toni anche con l’altra propria e la strofinò delicatamente, per sottrarla al gelo. Le temperature erano state particolarmente rigide quel giorno, in effetti, e l’aria profumava di freddo pungente.

«Sei ghiacciato, Toni, vai a sederti vicino il camino, dai, mentre io preparo la cena.»

Credette che lui non lo avesse ascoltato, ma qualche secondo dopo lo vide alzarsi e strascicare i piedi sul parquet fino al camino. Quelle lunghe gambe un tempo avevano corso agili lungo prati inondati dal sole. Erano ancora muscolose, ma sembravano aver perso ogni forza. Si piegarono quando Toni si sedette vicino al camino e allungò le mani verso il fuoco. Le fiamme si riflettevano sul suo viso in un balletto di luci, che non riuscivano ad accendere alcun riflesso in quegli occhi spenti.

«Lo sai, Gio’, che Babbo Natale non esiste?»

Non c’era dolore nella sua voce né rammarico, solo sorpresa. Giovanni distolse da lui lo sguardo, per impedire che un pezzo del suo cuore morisse anche quel giorno. Ma amava Toni, lo amava ancor più disperatamente ora che lui era distante, perso in quella notte del maggio scorso, in cui si era consumata la tragedia.

Raggiunse l’angolo cucina della mansarda e poggiò la padella sul fornello.

«Credi che esista un posto dove nevica sempre?» gli domandò Toni.

Giovanni gli lanciò un'occhiata e incontrò il suo sguardo, sorridendogli.

«Credo al Polo… nord o sud, puoi scegliere.»

Toni batté ripetutamente le palpebre, come se di colpo qualcosa lo rendesse perplesso.

«Se qui non nevicherà, tu mi accompagneresti al Polo?»

Giovanni sorrise ancora, ma con profonda amarezza.

«Anche a piedi, amore mio, se servisse a ridarti la vita…»

 

Toni, però, scosse il capo e di nuovo il suo viso si fece cupo.

«No, non varrebbe… la neve deve scendere per coprire, non deve esserci già…»

Giovanni ruppe un uovo, esasperato.

«Che cosa dovrebbe coprire la neve?! Sono giorni che dici questa fesseria!»

Toni abbassò di colpo lo sguardo.

«L’odio... tutto l’odio…»

Allora, Giovanni gli andò di fronte e si chinò ad afferrarlo per le spalle.

«L’odio? Quello che provi per me?! Perché non me lo dici, eh? Perché non me lo dici chiaramente? Mi farebbe meno male sentirlo che intuirlo! Tu mi odi per quello che accadde quella notte, credi che non lo sappia? Tu mi presentasti ai tuoi, dicesti loro che mi amavi e tuo padre si infuriò talmente tanto da morirne… E hai creduto che non avrebbe avuto quell’infarto, se io non ti avessi chiesto di affrontarli per costruirci un futuro insieme, è vero? Perché non me la butti in faccia questa verità, invece di tenertela dentro?!»

Toni tenne il viso celato, il corpo contratto.

«Hai… hai fatto tanti calcoli oggi?»

Giovanni mollò la presa di scatto, sconfitto.

«Sì, molti… siamo alla fine dell’anno, c’è molta contabilità da rivedere per tutti i clienti.»

Si alzò e raggiunse i fornelli, in tempo per evitare che le uova si bruciassero. Prese gli altri ingredienti dal frigorifero e li tagliò nella padella, respirando molecole della propria amarezza. Forse era giunto il momento di arrendersi. Proprio quel pomeriggio un loro comune amico gli aveva dato un biglietto da visita, il nome di un prestigioso psichiatra, direttore di una casa di cura.

“Sbarazzati di lui - l’aveva esortato serio - tu hai il diritto di vivere: non puoi seppellirti con lui e non puoi aiutarlo!"

Lanciò un’altra occhiata al compagno; ancora seduto vicino al fuoco, giocherellava con l’attizzatoio e le fiamme. Una lacrima gli velò gli occhi, ma se ne liberò con un gesto brusco della mano. Sbarazzarsi di Toni? Come avrebbe potuto? Era la sua vita! Non lo avrebbe abbandonato neanche nel momento di più cupa disperazione!

Scuotendosi dal profondo torpore, Toni si alzò e lentamente apparecchiò la tavola, poi si sedette e attese. Giovanni lo raggiunse con la padella e spartì le uova nei piatti. Toni alzò lo sguardo su di lui, ma non parlò. Le ombre si allungavano mobili nei suoi occhi. Giovanni si chinò e gli sfiorò una tempia con un bacio.

«Non farle freddare.»

Si disfece della padella e andò a tavola. Toni fissava oltre i vetri, la forchetta nella mano, un pugno abbandonato sul grembo. Giovanni cominciò a mangiare ed egli lo imitò automaticamente.

Non parlarono durante la cena, né dopo, quando Giovanni sparecchiò e lavò le stoviglie. Toni si tolse la vestaglia e andò sotto le coperte. Giovanni sistemò la mansarda, alimentò il fuoco e controllò la posta. C’era una lettera di sua madre, preoccupata e piena di esortazioni a lasciare Toni. Tutti glielo suggerivano: chiunque lo conoscesse si sentiva in dovere di farlo, per il suo bene. Strappò la lettera, nervoso e indisposto. Si spogliò e andò a letto. Toni giaceva accanto a lui, immobile e a occhi chiusi. Sapeva, però, che non stava dormendo.

«Non vuoi abbracciarmi?»

Sentì quelle braccia circondargli le spalle, ma vide una lacrima fuggire alle palpebre calate.

«Spero che domani nevichi…»

Giovanni rialzò il capo di scatto e serrò i denti, ferito.

«E io invece spero che ci sia il sole! Un sole splendido e caldo!»

Si allontanò da lui e si sdraiò mostrandogli la schiena. Che cosa aveva sperato? Di trovare calore in quelle braccia fredde, dentro quel corpo esanime?

La lacrima scivolò lungo la tempia di Toni e si infranse sul cuscino candido. Le sue braccia erano ricadute sulle lenzuola, vuote e inutili.

«Tu mi vuoi lasciare…» bisbigliò «non sopporti più la mia presenza. Lo sapevo… lo sapevo che sarebbe successo… me lo merito…»

Giovanni strinse il lenzuolo fra i denti. Il cuore gli martellava a fitte insopportabili. Si volse di scatto e abbracciò lui, serrandoglisi stretto.

«Cosa dici cosa dici, cosa dici… Non ti lascerò mai, mai…»

Toni non lo abbracciò, né parlò più; chiuse gli occhi e dormì.

Giovanni, invece, pianse silenziosamente. Non lo aveva mai fatto in quegli otto mesi, ma qualcosa si stava rompendo anche dentro lui.

 

Un rumore ovattato sottrasse Toni a un sonno leggero e gli fece aprire gli occhi. La luce diafana e pallida del primo mattino rischiarava con fatica la stanza. Il fuoco nel camino si era spento del tutto. Girò il capo sul cuscino e guardò il mucchio di ceneri grigie. Forse Giovanni sentiva freddo. Dormiva fra le sue braccia, profondamente. Lo scostò con delicatezza da sé e lo coprì con le coltri. Si mosse verso il camino con passo strascicato, ma si fermò di colpo e volse il viso verso la finestra prima di correre al davanzale. Si compresse le mani contro il cuore che batteva lento, mentre i suoi occhi scorrevano sui fiocchi di neve che scendevano lievi e morbidi dal cielo verso la terra.

«Neve…»

Diede le spalle alla vetrata e si precipitò alla porta. Doveva uscire, ricevere su di sé quella carezza purificatrice. Scalzo e in pigiama, corse giù per le scale in pietra. Adesso il suo cuore batteva veloce. In strada non sentì il gelo. Sollevò le braccia aperte e fissò con il capo rovesciato all’indietro quel bianco turbinare.

«Neve… neve, neve, neve!»

Girò su sé stesso con slancio di gioia. Si lasciò cadere sulla sottile coltre candida e si riempì le mani di neve. Se la accostò al viso e ve la strofinò con delicatezza.

«Via… via tutto, pulisci la mia anima dal dolore e dalla colpa…»

Lavò ancora il viso, poi il torace, il cuore; rotolò su sé stesso perché tutto il suo corpo potesse impregnarsi della soffice materia purificatrice. Perché essa potesse restituire l’innocenza, la bellezza, la gioia. Perché portasse via il dolore e l’angoscia.

 

Giovanni si svegliò di soprassalto, fuggendo le immagini soffocanti di un incubo. Balzò a sedere, non trovando Toni accanto a sé. Stordito e insonnolito, si guardò attorno nella mansarda vuota. Il cuore gli balzò in gola e ne sentì il rimbombare nelle orecchie. Corrugò la fronte: no, non era il suo cuore, era un impaziente bussare alla porta. Una voce di donna lo chiamava concitata. Allora si avventò sulla porta, spaventato.

«Giovanni, caro, finalmente mi hai sentita!» esclamò agitata la vicina. «Toni è impazzito, vieni, presto!»

Giovanni non si curò neanche di prendere soprabito e scarpe, ma seguì la donna per le scale, trafelato come lei. Quando giunsero fuori, però, si bloccò di colpo attonito: i lievi fiocchi bianchi si accumulavano a terra.

«Neve…» mormorò; incredulo ma con un sottile solletico nell’anima.

I suoi occhi arrivarono sulla figura di Toni, che stava inginocchiato sul marciapiede imbiancato, le braccia conserte, il viso offerto al cielo.

Corse a lui con tanta foga da scivolare sul nevischio e carponi lo raggiunse.

«Amore mio… da quanto sei qua fuori?»

Toni si volse lentamente. Il suo il viso era arrossato, le sue labbra violacee per il gelo, ma i suoi occhi… L’impatto con la luce infinita in quello sguardo d’indaco fiaccò il respiro di Giovanni. Toni sollevò una mano chiusa a pugno verso di lui, che la prese nelle proprie. Toni la dischiuse e gli mostrò la neve che racchiudeva.

«Nevica, Giò… Hai visto?»

Giovanni ingoiò l’emozione e gli sorrise, cuore in gola.

<<Avevi ragione tu… ma come hai fatto a prevederlo? La neve è arrivata senza che dovessimo andarla a cercare al Polo…»

Le labbra di Toni si schiusero in un radioso sorriso.

«I colori stanno tornando, Giò… la luce sta tornando… Basta adesso, basta con la tristezza… La neve è arrivata a pulire tutto quanto… Voglio tornare a vivere con te e con il nostro amore. Tu vuoi ancora che siamo felici insieme?»

Giovanni serrò le labbra, per trattenere quel suo cuore che sembrava potergli schizzare fuori. Poté solo annuire, travolto dall’incredula commozione. Toni gliele baciò lungamente, prima di abbracciarlo.

«Ti amo, Giò… ti amo così tanto. Voglio vivere una bella vita con te, una vita bellissima…»

Giovanni annuì ancora, mentre ormai le lacrime bagnavano il suo sorriso di gioia.

«Anche io ti amo, angelo mio…»

Toni gli sorrise.

«Sei tu il mio angelo… tu che mi sei rimasto accanto anche in inferno…»

Si alzò e porse a lui la mano. Giovanni gliela strinse e si tirò in piedi, scalzi e in pigiama entrambi a ridere di felicità e sollievo sotto i fiocchi che li ricoprivano. Poi corsero in casa, impazienti, dritto nel cuore della vita che era tornata per loro.

Fuori la neve continuava a cadere, avrebbe coperto per tutto il giorno i tetti e le strade. Apparve quella mattina e già la seguente sarebbe svanita, ma ormai il suo miracolo era stato compiuto e due anime avevano ritrovato l’innocenza dell’amore.

 

© Patrizia Grotta e Ljus av Balarm


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