A Sabrina piaceva festeggiare la sera di San Silvestro, a Donato per niente.

Donato non sopportava questa cosa che tutte le persone dai 9 ai 99 anni, come se fossero mandrie di pecore che seguivano una sola direzione indicata dal loro pastore, dovessero andarsi a sbattere in un qualsiasi chiassoso veglione per non apparire sfigati!

Sabrina era cresciuta in una famiglia per cui ogni occasione era l’ideale per riunirsi, tutti in ghingheri, e fare festa, dentro o fuori casa. A quel modo si rinsaldavano i legami tra parenti e amici e si creava il patrimonio di memorie della famiglia. Quello da cui trarre energie negli inevitabili momenti difficili

Due posizioni all’opposto, su cui da subito avevano cercato di mediare. Non era stato facile, ma con il tempo e con le esperienze erano riusciti a trovare un accordo che soddisfacesse entrambi: creare legame e memoria ma senza immergersi nella folla. Così era nato il loro speciale rituale del Capodanno. Donato le comprava dei fiori, ogni anno diversi, e un regalino di augurio per il nuovo anno; Sabrina si vestiva e truccava con cura e ordinava in un buon ristorante una cena da ricevere a casa. I figli andavano a dormire dai nonni e loro due restavano da soli a corteggiarsi, come quando si erano conosciuti, tredici anni prima, e ad attendere il nuovo inizio.

In un anno pieno di pensieri per i figli, la casa, il lavoro, i conti, quella singola sera dava a Sabrina la carica per sentirsi amata ed energica per i restanti trecentosessantacinque giorni. E, soprattutto, faceva memoria, e anima.

 

Era San Silvestro anche quella sera.

Per le strade della città, persino lì vicino, era ormai cominciato da ore il concerto di petardi e miniciccioli lanciati ovunque da ragazzini beffardi. Nella silenziosa stanza della clinica, invece, la luce era soffusa e morbida carezzava le rose color rubino ben distribuite in un vaso di cristallo.

Donato fissava il volto di Sabrina, lo osservava lineamento per lineamento, come se volesse impararlo a memoria. E forse era proprio questo che voleva fare: imprimersi nella mente quella visione per essere certo di non dimenticarla fino all’ultimo dei suoi giorni.

Sabrina aprì le labbra in un sorriso stanco ma sincero.

«Perché non te ne vai a casa a riposare? È quasi mezzanotte ormai.»

Donato si riprese di botto, non si era accorto che quegli occhi azzurri ma arrossati si erano aperti. Rispose con fatica al sorriso, sentendosi dentro un dolore impronunciabile. Agitò la testa in senso di diniego e si sporse verso di lei per poggiarle un bacio delicato sulla fronte pallida.

«Ma come… mi hai educato scientificamente per anni che per San Silvestro la sera è tutta e solo per noi e ora mi vuoi mandare via prima che scocchi mezzanotte?»

Sabrina sospirò lungamente e una sottile fitta le trapassò il petto, esattamente fra i polmoni malati.

«I fiori sono bellissimi…» mormorò, anche se era altro che avrebbe detto, parole come non perdere tempo con me, ormai sono solo alla fine, non ci sarà nessun nuovo inizio da festeggiare.

Donato sorrise ancora ma con contentezza.

«Hai visto? Sono le rose più belle di tutta la città, non mi sono fermato al primo fioraio e ho girato finché non ho trovato quello che volevo!»

Sabrina provò a sollevare una mano, ma riuscì solo a muovere un dito in direzione delle rose. Donato capì ugualmente e subito si alzò per raggiungere il vaso. Scrutò concentrato il mazzo di quarantotto rose – due per ognuna dei dodici mesi del nuovo anno che avrebbero condiviso – e infine scelse quella che gli parve la più bella. La portò alla moglie e gliela accostò alla mano, così che lei potesse sfiorarla, poi al naso, perché potesse inspirarne il profumo, e di nuovo alla mano, in modo che lei potesse tenergliela sopra. Sabrina lo ringraziò con un tenue sorriso, che Donato baciò teneramente.

«E non finisce qui…»

Si allontanò verso il giubbotto che aveva lasciato su una sedia e Sabrina lo guardò, sentendosi rivitalizzare dalla curiosità, che divenne impazienza infantile poiché lui la stuzzicava perdendo vistosamente tempo. Poi finalmente estrasse da una tasca del giaccone una scatolina blu e Sabrina rise appena: Donato era stato ligio a tutto il copione da San Silvestro!

Donato le tornò vicino e questa volta si sedette sulla sponda del letto. Finse di nascondere la scatola in un pugno, consapevole che fosse abbastanza voluminosa da emergere, e poi le mostrò entrambi i pugni.

«Quale scegli?»

Sabrina rise di nuovo, divertita, e finse di pensarci su, infine scegliendo il pugno pieno. Donato si mostrò dubbioso, ma dopo sorrise e aprì la mano, lasciando apparire la scatola di raso blu. Sabrina provò a prenderla, ma l’intervento chirurgico era stato troppo recente e invasivo perché le energie la aiutassero. Donato comprese e con un gesto lento aprì lui stesso il contenitore, sussurrando un enfatico Madame! Lei guardò, ma aggrottò la fronte dinanzi al Bacio Perugina che riposava sulla fodera di raso. Certo, come poteva lui avere avuto il pensiero o anche solo il tempo per andare veramente in gioielleria? Era ugualmente un gesto dolcissimo, qualcosa di cui – all’inizio della loro relazione – Sabrina non aveva creduto che Donato, pragmatico com’era, potesse essere capace.

«Grazie…»

«E di cosa?»

«Di questo…»

«Ah sì? Quindi ti basta questo come augurio per il nuovo anno?»

Sabrina lo fissò negli occhi e vi vide in fondo le lacrime che lui non aveva mai lasciato venir fuori in quei tre mesi dell’incubo.

«Non mi deve bastare?»

Donato agitò forte il capo e le carezzò i capelli con mano tremante.

«No, amore mio, non ti deve mai bastare, devi chiedere il meglio da ora in poi, solo il meglio, perché è questo che ti meriti, anima mia…»

L’uomo prese fra due dita il Bacio, dicendole con una linguaccia che quello in realtà era per lui. Sabrina, però, era già con gli occhi sgranati sull’oggetto che si era d’improvviso disvelato: uno splendido Trilogy di diamanti che le abbagliò gli occhi e anche il cuore di felicità. L’anello dei suoi desideri, quello che sempre aveva sognato, sin da ragazza, l’oggetto inaccostabile, il regalo su cui fantasticare ogni tanto accogliendo però poi con gioia i pensierini che le loro entrate finanziarie potevano permettere loro. E ora era lì, davanti ai suoi occhi, magnifico nel bianco dell’oro e nella purezza delle pietre. E non poteva avere dubbi che si trattasse di un esemplare originale, e non delle copie a basso costo che qualche volta era stata tentata di comprare, perché il prestigioso marchio era stampato chiaro sul fondo del coperchio. Le lacrime già scorrevano abbondanti sul suo volto e gli occhi le brillavano, ma scosse la testa, farfugliando a lui che era una pazzia, che non poteva davvero averlo comprato. Donato allora le poggiò una mano sulla bocca, chiedendolo silenzio. Dopo estrasse lui stesso l’anello dalla scatola e lo infilò all’anulare destro della moglie, che poi baciò a lungo, ora piangendo anche lui.

«Invece sì, amore mio… il meglio per te, capito, solo il meglio d’ora in poi… ogni migliore nuovo inizio per la mia meravigliosa donna…»

Sabrina riuscì a sollevare di qualche centimetro la mano e rimirò l’anello, con una felicità che aveva creduto di non poter mai più provare dal giorno della terribile diagnosi.

«È bellissimo… amore mio, è bellissimo…»

E adesso piangevano insieme, per la gioia di essere stati compagni d’amore in tutto quel tempo, di aver saputo costruire una famiglia sana nelle difficoltà, ma anche per il dolore e la paura che tutto quell’amore fatto di compromessi ed equilibri potesse non avere il futuro che avevano dato per scontato.

Donato le prese le mani e le strinse forte, bagnandole delle proprie lacrime e riempiendole di baci.

«Io ti amo, Sabri… i miei tre diamanti sei tu, la mia donna, la mia compagna, la mia migliore amica! Non mi lasciare, ti prego, combatti, amore mio, combatti per il nostro amore, per noi due, per i nostri figli, per te, per tutti i nostri nuovi inizi! Ti prego, amore, sii più forte di questo dannato mostro!»

I singhiozzi impedirono a Sabrina di parlare, troppo forte la sua angoscia.

«Te lo giuro davanti a Dio, Sabri: se tu ce la metti tutta e combatti anche contro tutto, io dal prossimo San Silvestro ti porto a cena nel ristorante migliore della città, ogni anno, te lo giuro, e anche per il tuo compleanno, il mio, pure per lo stramaledetto San Valentino…»

«No! Io non voglio che tu cambi, mai e per nessun motivo! Di te come sei io mi sono innamorata e lo sai che mai ti ho voluto cambiare in nessun dettaglio. Promettimi questo, che rimarrai te stesso, che niente ti cambierà, neanche il dolore o la rabbia se io non ci sarò più…»

«Non lo devi dire!>>

«Ti prego, promettimi che sarai sempre l’uomo di cui mi sono innamorata, ti prego!»

Donato avrebbe voluto di nuovo opporsi, ma trattenne il moto e riuscì a sorridere sinceramente.

«Questo sì, certo: sarò sempre l’uomo di cui ti sei innamorata, te lo giuro. E tu? Tu sarai sempre la donna di cui io mi sono innamorato?»

Sabrina fece cenno di sì con il capo e, per la prima volta in quei tre interminabili mesi di paura, riuscì a sentire la serenità. Una serenità che era calda e pacificatrice e le faceva sperare che veramente l’amore potesse essere quella forza di vita che avrebbe dato futuro ai nuovi inizi, tanti ancora, con i fiori, con il pensierino, la cena a casa, i figli dai nonni e l’uomo di cui era innamorata.

Che l’amore bastasse a salvarle la vita. Ad alimentare ancora il loro patrimonio di memorie.

 

©Patrizia Grotta e Ljus av Balarm


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