L’improvvisa sensazione di poter precipitare gli fece saltare il cuore in gola e sollevare bruscamente le palpebre. Gonfi di pianto e rabbia, gli occhi si aprirono direttamente sulle quattro cifre: 10:57.

Alla fine, quindi, un sonno estenuante e senza sogni aveva spento la sua coscienza e i suoi tempestosi pensieri. E ora mancavano solo tre minuti alle 11.

Meglio così – sussurrò la sua parte vigliacca e cinica – non hai scelto tu, il destino ti ha tolto la responsabilità.

Già… Allora perché non provava sollievo? Perché sentiva quella tristezza intima, che sembrava poter cancellare una notte di discussioni nutrite d’orgoglio e fragilità?

Perché… forse perché quell’aereo, che sarebbe partito da lì a tre minuti, avrebbe portato via, lontano un intero continente, l’unica persona che con naturalezza era riuscita a insegnare l’amore al suo cuore cinico e corazzato? E quella non scelta stava già diventando la vittoria perfetta della sua parte peggiore.

Solitudine eterna, questo sarebbe stato il suo vero dannato destino!

Chiuse gli occhi e si rannicchiò sul letto, dove neanche ricordava di essersi disteso – con tutti i vestiti addosso. Non voleva vedere quelle cifre rosse che, secondo dopo secondo, segnavano il suo ritorno a una vita senza brividi ed emozioni.

Cifre del destino…

Un moto impetuoso gli attraversò l’animo, mentre un lampo squarciava le tenebre della sua mente ottusa d’orgoglio.

«Che giorno è oggi?!» esclamò senza fiato.

Balzò in piedi a cercare lo smartphone, che trovò spento e scarico. Rinunciò a recuperare il caricabatteria, chissà dov’era finito; ora ogni secondo gli sembrava un tesoro da risparmiare!

Corse in cucina, dove il calendario confermò il suo pensiero: domenica 25 ottobre 2015, passaggio all’ora solare.

La smania gli prese lo spirito, anche se di nuovo la paura poteva paralizzare il suo corpo.

«Nooo!» si ribellò con stizza.

Se al destino doveva credere, eccone là servita una prova inconfutabile: di colpo aveva un’ora in più, un’ora di tempo in cui cambiare una vita di durezza e chiusura.

Quasi non si stupì di non avere troppi dubbi. Afferrò occhiali da sole e chiavi e, così com’era, lasciò casa.

La corsa sulla moto verso l’aeroporto gli tenne il cuore in gola senza sosta.

Lo voleva, voleva fortemente arrivare in tempo!

Mollò la due-ruote all’ingresso delle partenze; non importava se l’avessero rimossa.

Corse dentro, respiro sfasato. Uno sguardo ai tabelloni dei voli, un numero di gate, un orario di imbarco; l’emozione travolgente.

Litigò con gli addetti alla sicurezza, che impedivano categorici l’attraversamento del metal detector senza carta d’imbarco, ma in quell’attimo incontrò a distanza quegli occhi e li vide riempirsi di stupore, di gioia, di commozione. Allora si rilassò e persino sorrise.

Ce l’aveva fatta, aveva avuto la sua ora in più e l’aveva sottratta al niente. E avrebbe fatto per sempre in modo che ne fosse valsa la pena.

 

© Patrizia Grotta e Ljus av Balarm


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